by redazione | 27 Febbraio 2014 12:42
Matteo Renzi, con i suoi interventi programmatici in Parlamento, ha cambiato l’approccio alle relazioni tra Italia e Unione Europea. Per la prima volta, nelle parole di un presidente del Consiglio, non c’è la preoccupazione prioritaria di impostare la politica economica secondo le raccomandazioni, gli indirizzi o le reprimende della Commissione europea. Non è un caso che Renzi non abbia fatto cenno alla necessità/obbligo di rispettare la regola del deficit del 3% del Prodotto interno lordo, al pareggio strutturale di bilancio, al Fiscal compact per rientrare dall’abnorme debito pubblico. E non è un caso che abbia voluto rimarcare come il suo primo viaggio all’estero non sarà né a Bruxelles né a Berlino, ma a Tunisi. Tutto ciò manda all’Europa il messaggio che, dopo la stagione dei governi tecnici o semitecnici, questo è un governo politico, senza alcun timore reverenziale verso i tecnocrati della Commissione europea. Detto che questa mossa riequilibra un atteggiamento che in passato a tratti è sembrato di sudditanza — che oltretutto finisce per nuocere all’idea stessa di Europa unita — i problemi base dell’economia e della finanza pubblica italiane restano quelli di sempre.
Il governo Renzi potrà anche andare a Bruxelles a chiedere, e magari ottenere, più tempo per rientrare dal debito pubblico, ma se non prenderà provvedimenti efficaci e credibili dovrà fare i conti con i mercati, ai quali ogni anno l’Italia è costretta a chiedere di sottoscrivere 400 miliardi di euro in titoli di Stato. E credibilità significa innanzitutto prendere misure che abbiano una copertura finanziaria certa .
Va benissimo promettere un taglio del cuneo fiscale per alleggerire di 10 miliardi le tasse su imprese e lavoratori, ma se si dice che questo sconto verrà coperto con il taglio della spesa pubblica per 3-4 miliardi, bisogna spiegare come. Perché si può avere la massima fiducia nel lavoro del commissario Carlo Cottarelli, ma è un dato di fatto che altre valide persone prima di lui, da Piero Giarda a Enrico Bondi, ci hanno provato, ma con scarsi risultati. Che cosa è cambiato davvero per farci credere che nei 7-8 mesi dell’anno che restano si potranno risparmiare diversi miliardi? Così come, se si dice che una parte della copertura del taglio del cuneo verrà dall’aumento del prelievo sulle rendite finanziarie per allinearlo alla media europea, bisogna che il governo non lasci i mercati nell’incertezza e chiarisca subito che cosa si appresta a fare. Pensa di partire aumentando le tasse? Farebbe meglio a guadagnarsi prima la credibilità tagliando la spesa. Così come non ci si può limitare, nell’annunciata riforma del lavoro, a prefigurare l’introduzione di un sussidio universale di disoccupazione senza dire almeno su che ordine di grandezza di spesa si ragiona e dove si prendono le risorse necessarie, perché un conto è potenziare l’Aspi, cioè l’indennità introdotta dalla Fornero, e tutt’altra cosa è dare 500 euro al mese a 3 milioni di disoccupati, per un costo annuo di 18 miliardi.
Se Renzi non darà presto una risposta a questi interrogativi, che del resto lui stesso ha suscitato mettendo così tanta carne al fuoco, l’entusiasmo col quale sembra essere stato accolto dai cittadini, dalla maggioranza e dai mercati lascerà il posto a tensioni crescenti. E a danni rilevanti.
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