Cina e Taiwan: dal 2010 scambi commerciali raddoppiati

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Ci sono alcune con­si­de­ra­zioni impor­tanti riguardo la nuova ondata di col­lo­qui tra Cina e Tai­wan: l’isola infatti – uno dei prin­ci­pali alleati degli ame­ri­cani nell’area — non può esi­mersi dal cer­care di sta­bi­lire rap­porti com­mer­ciali sta­bili, risul­tato di una disten­sione poli­tica, con il prin­ci­pale motore dell’economia asiatica.

Da parte cinese si tratta invece del ten­ta­tivo di atti­rare a sé eco­no­mi­ca­mente, e in parte poli­ti­ca­mente, quello che è visto come uno dei prin­ci­pali alleati degli Stati Uniti nell’area: Washing­ton ha più volte riba­dito il pro­prio appog­gio armato a Tai­wan nel caso di disturbi mili­tari cinesi. Dal 1949 Tai­wan è un oggetto del desi­de­rio di Pechino, la parte man­cante all’identità totale cinese. Nel 2008 l’elezione del filo cinese Ma Ying-jeou ha segnato un momento par­ti­co­lar­mente rile­vante e non sono pochi gli ana­li­sti che sot­to­li­neano la volontà cinese di strin­gere con Tai­pei, in modo da mone­tiz­zare al mas­simo la dispo­ni­bi­lità poli­tica della con­tro­parte, dato che tra due anni sca­drà il secondo man­dato di Ma (rie­letto nel 2012).

L’accordo com­mer­ciale più impor­tante tra i due paesi è stato siglato nel 2010 ed è noto come Ecfa (Eco­no­mic Co-operation Fra­mework Agree­ment), un accordo eco­no­mico capace di dimi­nuire le tariffe degli scambi com­mer­ciali tra i due paesi, con la crea­zione suc­ces­siva di un’area di libero scam­bio che non è nuova per la Cina, trat­tan­dosi delle stesse moda­lità con cui sono state create le zone eco­no­mi­che spe­ciali (negli anni delle riforme), com­presa l’ultima arri­vata a Shan­ghai o Hong Kong. L’accordo fece tra­bal­lare e non poco il potere poli­tico tai­wa­nese, divi­dendo a metà l’elettorato e la popo­la­zione, fra­stor­nata dal repen­tino cam­bio di campo della pro­pria classe poli­tica, fino ad allora su posi­zioni intran­si­genti riguardo Pechino.

Per il Par­tito Demo­cra­tico, l’Ecfa era un modo come un altro per ven­dere il paese alla Cina. Il Guo­min­dang tenne duro e nel dicem­bre del 2010 le ele­zioni in cin­que città del paese, con­fer­ma­rono come di fronte alla crisi eco­no­mica, ai tai­wa­nesi non spa­ven­tava un riav­vi­ci­na­mento eco­no­mico alla Cina. Un ex gior­na­li­sta e ora ana­li­sta per un think tank sino tai­wa­nese, spe­ci­fi­cava che ai tai­wa­nesi inte­ressa prin­ci­pal­mente «quello che tro­vano nelle pro­prie tasche». Se i soldi hanno pro­ve­nienza cinese o ame­ri­cana poco importa. Dalla Cina l’accordo del 2010 venne visto e sot­to­li­neato, come un sor­passo impor­tante pro­prio su Washing­ton: la crisi creata dagli Usa, si diceva, si riversa con­tro loro stessi.

Da allora il com­mer­cio tra i due pasi è rad­dop­piato a 197 miliardi di dol­lari, tre milioni di turi­sti cinesi hanno visi­tato Tai­wan e 539 pro­dotti tai­wa­nesi hanno tro­vato facile sfogo sul mercto cinese, in cam­bio dell’ingresso di 267 pro­dotti cinesi, sul mer­cato di Taiwan.

Nell’incontro in corso, pare che le deci­sioni siano pre­va­len­te­mente di natura tec­nica. Zhang ha detto che le due parti sta­reb­bero lavo­rando per creare uffici di rap­pre­sen­tanza per­ma­nenti, anche se ha ammo­nito circa pro­blemi tec­nici da supe­rare. «Il nostro incon­tro – ha detto – è stato qual­cosa di inim­ma­gi­na­bile fino a poco tempo fa, ma se vogliamo dav­vero rag­giun­gere pro­gressi dob­biamo appli­care un po’ di crea­ti­vità». La sostanza dei col­lo­qui – hanno ripor­tato i media cinesi – è stata in gran parte ammi­ni­stra­tiva: la Cina preme per un accordo com­mer­ciale che coin­volga anche il set­tore dei servizi.

Da regi­strare un par­ti­co­lare rela­tivo al Par­tito Demo­cra­tico di Tai­wan, che ha pro­te­stato con­tro la deci­sione della Cina di negare il visto a due gior­na­li­sti tai­wa­nesi, che avreb­bero voluto seguire la visita. «Il governo cinese — ha detto la lea­der del Par­tito — sta usando la capa­cità di rifiu­tare i visti come stru­mento di censura»


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