Carcere, la nostra cattiva coscienza sociale

Carcere, la nostra cattiva coscienza sociale

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Mauro Palma,

Fasci­coli pesanti atten­dono il nuovo mini­stro della Giu­sti­zia. Soprat­tutto per quanto riguarda il car­cere, la cui carat­te­ri­stica e la cui situa­zione con­creta sono gli indi­ca­tori reali del fun­zio­na­mento della giu­sti­zia penale: da là biso­gna par­tire per capire quale sia di fatto la fisio­no­mia di tale sistema, se e come esso sia in grado di rico­struire equità, senza essere inve­stito di fun­zioni impro­prie di gestione rego­la­tiva dei com­por­ta­menti indi­vi­duali e delle con­trad­di­zioni sociali.

La fisio­no­mia del car­cere ita­liano con­no­tata come è dalla pre­va­lente pre­senza di sog­getti social­mente deboli, rende pla­sti­ca­mente l’immagine di un luogo che è diven­tato in molti casi stru­mento, inu­tile e dan­noso, per affron­tare con­trad­di­zioni che potreb­bero essere invece pre­ven­ti­va­mente risolte con un mag­giore inter­vento sociale. Un luogo che è interno alla crisi sociale e al taglio degli inve­sti­menti posi­tivi nel ter­ri­to­rio ed è frutto della fun­zione simbolico-pedagogica asse­gnata alla deten­zione da parte di chi ha inteso affron­tare con il con­ti­nuo amplia­mento del ricorso a essa i timori di una col­let­ti­vità ansiosa per il venir meno delle pro­prie reti pro­tet­tive sociali.

Que­sto car­cere ha tro­vato solo negli ultimi mesi un’attenzione diversa. Certo, la spinta è stata la san­zione inter­na­zio­nale, prima nel 2009 con una sen­tenza della Corte dei diritti umani di Stra­sburgo che ha con­dan­nato l’Italia per le con­di­zioni di deten­zione di uno spe­ci­fico dete­nuto, rite­nen­dole in vio­la­zione della tutela della sua dignità; poi nel 2013 con una nuova sen­tenza della stessa Corte che ha rite­nuto che tale situa­zione non riguar­dasse più sin­goli casi, ma il sistema nel suo com­plesso. In sin­tesi, che quelle con­di­zioni, in vio­la­zione dell’articolo 3 della Con­ven­zione euro­pea sui diritti umani che vieta in modo asso­luto e inde­ro­ga­bile la tor­tura e i trat­ta­menti disu­mani o degra­danti, fos­sero ormai la cifra di un sistema, la sua pecu­lia­rità: per quanto riguarda sia lo spa­zio ristretto oltre il limite di accet­ta­bi­lità minima, sia il modello mera­mente segre­ga­tivo che carat­te­rizza la vita al suo interno.

Ci si è mossi da qui, con il tempo stretto dato dalla Corte per rime­diare a tale situa­zione, pena la pos­si­bi­lità di un alto numero di san­zioni cor­ri­spon­dente all’altrettanto ampio numero di ricorsi pre­sen­tati da dete­nuti che in tali con­di­zioni vivono; ricorsi per ora accan­to­nati, pro­prio per dare tempo agli inter­venti pos­si­bili. I tempi sca­dranno alla fine di mag­gio. L’intervento avviato in que­sti mesi ha cer­cato di vol­gere al posi­tivo la nega­ti­vità di tale sentenza.

Il Piano di azione pre­sen­tato alla comi­tato di Stra­sburgo che vigila sulla ese­cu­zione delle sen­tenze della Corte è stato arti­co­lato su più linee. La prima è stata quella degli inter­venti nor­ma­tivi per ridurre il numero di dete­nuti e abo­lire gli aspetti inu­tili e ini­qui di alcune leggi degli ultimi anni: da qui i due decreti per ridurre l’incidenza della legge cosid­detta ex-Cirielli che fun­ziona da tappo per la con­ces­sione di misure alter­na­tive pro­prio ai sog­getti social­mente deboli, per ampliare la con­ces­sione della libe­ra­zione anti­ci­pata, per intro­durre un effet­tivo sistema di ricorso giu­ri­sdi­zio­na­li­ste tute­lato, come da tempo richie­sto dalla Corte costi­tu­zio­nale, per ridurre la san­zione penale per con­su­ma­tori di sostanze i cui reati sono defi­niti dalla norma stessa come «di lieve entità»; infine per ini­ziare a intro­durre una figura di moni­to­rag­gio indi­pen­dente dei luo­ghi di pri­va­zione della libertà, quale garante nazio­nale di chi vi è ristretto. Inter­venti par­ziali, è vero, ma i primi in con­tro­ten­denza dopo anni di decre­ta­zione siste­ma­ti­ca­mente cen­trata sull’estensione della pena­lità e della deten­zione. Inter­venti resi a volte ancor più par­ziali da un per­corso par­la­men­tare cauto e timo­roso rispetto a una opi­nione pub­blica fre­quen­te­mente sol­le­ci­tata dai cul­tori del clan­gore delle manette che non man­cano in ogni schie­ra­mento poli­tico. Ma, inter­venti che tro­vano cer­ta­mente un aiuto nella recente sen­tenza sull’incostituzionalità della legge del 2006 sulla droga. I primi effetti sono stati una ridu­zione di 8mila dete­nuti dal 2010 a oggi e il pro­cesso di con­te­ni­mento si amplierà gra­dual­mente nei pros­simi mesi.

La seconda linea d’intervento ha riguar­dato la vita in car­cere, cioè quei molti aspetti di dignità quo­ti­diana che la Corte di Stra­sburgo ha per ora non esa­mi­nato, data la pre­va­lenza del para­me­tro del sovraf­fol­la­mento, impe­gnan­dosi a riaf­fron­tarli non appena almeno lo spa­zio minimo vitale sarà assi­cu­rato. Qui, ci si è basati sul lavoro di molti, riu­niti in un’apposita com­mis­sione, le cui indi­ca­zioni sono state inviate, come ultimo atto del mini­stro Can­cel­lieri, a tutte le dira­ma­zioni dell’Amministrazione peni­ten­zia­ria quali linee di indi­rizzo per l’azione da svol­gere. L’idea è stata di uti­liz­zare l’occasione della sen­tenza per cam­biare pro­gres­si­va­mente il modello di deten­zione arre­trato e pas­sivo che, salvo alcune lode­voli ecce­zioni, carat­te­rizza il car­cere del nostro Paese. Inter­ve­nire in que­sto ambito vuol dire modi­fi­care alcuni nodi della vita gior­na­liera die­tro le sbarre: dalla pos­si­bi­lità di avere un numero ben più con­si­stente di ore da spen­dere fuori dalle celle e dalle sezioni, alla richie­sta pres­sante alle dire­zioni per­ché orga­niz­zino tale tempo con atti­vità e oppor­tu­nità lavo­ra­tive, alla ride­fi­ni­zione delle moda­lità di rap­porti con le fami­glie, anche uti­liz­zando le forme di comu­ni­ca­zione che oggi la tec­no­lo­gia offre, alla revi­sione degli scan­da­losi livelli di’impegno finan­zia­rio per il vitto dei dete­nuti, alla rior­ga­niz­za­zione del lavoro, dando senso e dire­zione agli stan­zia­menti in tale set­tore, spesso dispersi in mille rivoli di natura epi­so­dica e non strut­tu­rale. Fino a cam­biare anche la qua­lità di chi in car­cere lavora e il modello stesso di sicu­rezza negli istituti.

Que­sti inter­venti, che si muo­vono in linea con le Regole peni­ten­zia­rie euro­pee e con il mai pie­na­mente attuato Rego­la­mento ita­liano del lon­tano 2000, richie­dono atti­vità di pro­get­ta­zione da parte di tutte le dira­ma­zioni dell’Amministrazione – e quindi un’azione di chiaro indi­rizzo nei loro con­fronti – e impli­cano anche la rimo­du­la­zione degli spazi nel car­cere. Pro­prio per que­sto, si è limi­tato lo stan­zia­mento com­ples­sivo per la costru­zione di nuovi isti­tuti – se non dove stret­ta­mente neces­sa­rio – ten­dendo più alla riqua­li­fi­ca­zione e rimo­du­la­zione del patri­mo­nio edi­li­zio esi­stente. Un’azione più snella che costi­tui­sce la terza linea di azione, quella di natura strut­tu­rale, logi­stica, e che con­trad­dice la rispo­sta solo edi­li­zia che alcuni avreb­bero voluto e vor­reb­bero dare al pro­blema affol­la­mento.
Resta, infine, la linea d’intervento per risar­cire in qual­che forma coloro che le con­di­zioni defi­nite dalla Corte «disu­mane e degra­danti» hanno subito: la Corte lascia aperte più ipo­tesi, dal dare un «peso» mag­giore, ai fini del com­puto com­ples­sivo della pena, a una gior­nata di deten­zione spesa in tali con­di­zioni, fino al risar­ci­mento in forma eco­no­mica. Tema, que­sto, rima­sto aperto e da affron­tare con urgenza.

Cer­ta­mente que­sti inter­venti avreb­bero avuto più effetto in tempi brevi se fos­sero stati accom­pa­gnati da un prov­ve­di­mento di ecce­zione, quali amni­stia e indulto, così come richie­sto dal Capo dello Stato. Ma, essendo tale deci­sione nella dispo­ni­bi­lità del Par­la­mento e non di chi ha com­piti ese­cu­tivi, non era pos­si­bile pren­derla come pre-condizione per agire. E l’azione messa in campo deve assu­mere un ritmo acce­le­rato che tenga conto della sca­denza di Stra­sburgo, ormai immi­nente, e ancor più delle attese che un ini­zio di inter­vento rifor­ma­tore ha susci­tato in un mondo troppo a lungo tenuto distante da qual­siasi ten­sione posi­tiva, lasciato come sim­bo­lica cri­stal­liz­za­zione di una cat­tiva coscienza sociale.



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