Banche nel mirino Eurotower Roma paga i crac aziendali

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MILANO — Mario Draghi manda un altro monito a Italia e Francia, due ex prime della classe d’Europa che continuano a vivacchiare su credito, riforme, conti pubblici. Il banchiere centrale, argomentando sulla ripresa nell’Eurozona «modesta», ha citato ad esempio che «i tagli dei tassi di interesse non sono passati all’economia in Francia e in Italia», né le aziende dei due Paesi riescono a scaricare sui prezzi gli aumenti dell’Iva.
Non è un caso che il parlare del presidente della Bce — e il mancato azzeramento dei tassi — abbia sparso le vendite su Btp e Oat, anche se a fine seduta lo spread tra Btp e Bund tedeschi calava a 206 punti base dai 212 della vigilia, con rendimento decennale del 3,76%. Niente a che vedere con l’Oat francese, assegnato ieri tassi decennali calanti del 2,25%. Ovviamente i rating di Italia e Francia sono ben distinti: S&p ha tagliato l’estate scorsa il Tesoro da Bbb+ a Bbb, e a novembre ha fatto lo sgarbo a Parigi (scesa da Aa+ ad Aa). Ma per Draghi i due Paesi sono accomunati dall’insensibilità alle politiche espansive del credito, che hanno portato a novembre i tassi allo 0,25%, minimo storico. Eppure, tra crescenti divaricazioni settoriali e geografiche, le banche italiane e francesi non trasmettono a famiglie e imprese i crediti adeguati, per quantità e tasso. I prestiti privati sono calati in Francia dall’effervescente +11,3% del 2007 al +2,1% del 2013, mentre in Italia l’anno scorso frenavano dell’1,2%; ed va peggio alle imprese, con un calo dal +12% del 2007 allo zero attuale in Francia, e il — 4,3% italiano l’anno scorso. Quanto agli acquisti natalizi evocati dall’ex governatore di Bankitalia, è difficile strafare con un tasso di disoccupazione sopra il 12% a Roma, e che a Parigi sfiora l’11%. Anche nella pigrizia riformatrice ci sono analogie. Draghi già nel novembre 2012 strigliava Italia e Francia chiedendo «riforme urgenti del mercato del lavoro» che non si sono viste, come neanche i tagli di spesa e debito, che nel 2013 sarà in Francia al 93,4% del Pil (livello che la Corte dei conti trova «pericoloso»), mentre a Roma eccede il 130%.
Poi ci sono i problemi squisitamente bancari. Per ragioni diverse, gli istituti di Italia e Francia sono stati tra i maggiori “tagliatori di bilanci” mondiali, causa crisi finanziaria e poi sovrana, con azioni di deleveraging da parecchie centinaia di miliardi di euro. Le banche francesi, storicamente molto indebitate per via della scarsa raccolta sui depositi (i locali preferiscono risparmiare con le polizze vita o il livret A della Caisse des Depots), hanno riposto la grandeur internazionale. I banchieri italiani, più mestamente, hanno ridotto i bilanci per concentrarsi sui profitti da trading di Btp (“complice” la Bce con i prestiti agevolati Ltro) e per attenuare i contraccolpi della recessione economica, che imbarcava perdite su crediti miliardarie. Sbilanciate sul credito alle Pmi, le banche nostrane hanno visto lievitare i costi del capitale e del rischio ai massimi europei (in Italia ogni 100 euro prestati se ne perdono in media 1,2, oltre il triplo che in Francia). In settori come immobiliare e costruzioni la crisi è tanto nera che le banche “fuggono”, assiepandosi nei comparti ruggenti — agroalimentare, moda, meccatronica — dei grandi esportatori. Questa polarizzazione creditizia, che provoca una gamma abnorme di tassi di interesse (alla faccia dello 0,25% ufficiale, ci sono imprese che pagano il 6%) è rilevata anche dal bollettino Bankitalia di gennaio, che individua una ripresa molto disomogenea, e rileva la fatica del paese ad agganciare la positiva congiuntura continentale. E ieri, dopo le parole di Draghi, qualche osservatore è tornato a evocare il moral hazard per Italia e Francia. Ossia il rischio che, se la Bce effettivamente farà ciò che dal luglio 2012 annuncia (in termini di espansione monetaria), i politici delle due economie europee low growth saranno disincentivati a realizzare le riforme, i banchieri a ripulire i bilanci e ripristinare il credito, gli imprenditori a recuperare la competitività perduta.


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