Autonomismo, scandali e vecchi riti: in Sardegna il primo test nell’era Renzi

by Sergio Segio | 10 Febbraio 2014 7:46

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Tira una strana aria, su queste prime elezioni del «dopo». Dopo l’irruzione di Renzi. Dopo la cacciata di Berlusconi dal Senato. Dopo la rottura del Pdl. Dopo la rinuncia a correre dei grillini. Dopo l’inquisizione di gran parte dei vecchi consiglieri. Fatto sta che metà dei sardi, alle Regionali di domenica, non sa ancora chi votare.
Nell’incertezza generale manca perfino quello che, nei ricordi di Mario Segni, era il segno dominante delle campagne elettorali: «Pecora bollita, pecora bollita, pecora bollita: sempre così finivano, i comizi: “non mi faccia torto, onorevole, un po’ di pecora bollita!”» Ora, più che mai, dominano i porcetti. Simbolo dello «scandalo rimborsi» grazie al pidiellino Sisinnio Piras, ammanettato un mese fa per avere messo in nota spese, tra l’altro, costosi convegni finti organizzati nella palestra della moglie tra i quali uno dal titolo «L’obesità nella società moderna» concluso con una trimalcionica abbuffata di maialini arrosto pagati dalla Regione (cioè dai cittadini) e forniti dall’azienda di famiglia. Maialini peraltro probabilmente importati: la peste suina e la «Bluetongue», che sta facendo stragi fra le pecore sarde, sono ben lontane dall’esser vinte. Forse anche perché, come denuncia Coldiretti, gli aiuti all’agricoltura sono scesi in quattro anni da 120 a 12 milioni di euro: un nono dei soldi (93 milioni) destinati alle burocrazie delle agenzie regionali.
Crisi nera, in Sardegna. Per l’agricoltura. Per le miniere. Per l’industria pesante, che dopo il fallimento del sogno delle ciminiere piantate dallo Stato e dagli imprenditori del Nord, spesso bucanieri, si aggrappa a Porto Torres alla speranza della «chimica verde». Perfino il turismo, nonostante il boom mondiale, segna il passo.
«Colpa dello Stato patrigno», giura Ugo Cappellacci, che cerca la riconferma rialzandosi come l’«Ercolino Semprinpiedi» dopo mille inciampi. Gli sono caduti intorno, con le inchieste, un mucchio di pidiellini. L’hanno coinvolto in due processi per bancarotta (uno finito: assoluzione piena) e uno per la loggia P3. Gli hanno rinfacciato di tutto. Di aver dato 950 mila euro (in parte presi dalle risorse destinate a «ospedali e servizi sanitari», ha scritto Pablo Sole su sardiniapost.it ) al reality «Sweet Sardinia» in onda sulla berlusconiana «La5» con uno share dello 0,7%. Di avere speso 18 mila euro di pubblici denari per «Detto, fatto», un libretto autocelebrativo anticipato sul sito ufficiale regionale che come è ovvio appartiene a tutti sardi, compresi gli oppositori. Di avere «giocato all’armatore» affittando dei traghetti per portare turisti («lo farei di nuovo») e lasciando un buco finanziario rinfacciatogli dall’Europa.
Come non bastasse, ci si è messo l’«amico Silvio», che prima ha aperto il comizio a Cagliari raccontando una barzelletta su «Ugo Merda», poi ha telefonato a un altro convegno facendo in diretta una battuta su Aquileia: «Presidente, qui è Alghero!»
Uno scivolone dal quale il Cavaliere si è rialzato con un colpetto da maestro ma che a molti ha ricordato il ruzzolone sul copia-incolla (la Sardegna risultò avere 11 Province) dell’ex governatore Mauro Pili. Il quale, smessi i panni dell’«enfant prodige» berlusconiano, corre oggi con «Unidos» rivendicando di essere sempre stato autonomista: «Anche quando stavo con Berlusconi, sono sempre venuti prima i sardi. Sempre. Ho votato 1.200 volte contro le indicazioni di partito. Sempre in difesa dei sardi».
C’è un diluvio di sardismo, nelle urne. Finita l’egemonia del Partito sardo d’azione, che negli Anni 80 riuscì ad esprimere anche un presidente e oggi galleggia dalle parti della destra, sono spuntate liste come funghi. Oltre a quelle lanciate da Pili (Unidos, Fortza Paris, Soberania, Movimento sardo pro territorio, Movimento amministratori socialisti sardi, Movimento popolo sardo, Casa Sardegna) ecco il Partito dei sardi fondato dai docenti Paolo Maninchedda e Franciscu Sedda e poi Sardigna Natzione, Sardigna libera e RossoMori e Soberanitas e le due schegge di «Zona franca»: una schierata a destra, l’altra che corre da sola con un suo aspirante governatore, Gigi Sanna. Più il Fronte Indipendentista Unidu di Pier Franco Devias, lui pure candidato a presidente e qualche altra sigla che certamente, nel caos, dimentichiamo.
Chi è difficile da dimenticare è Michela Murgia, la scrittrice che, dopo aver fatto la cameriera, l’insegnante di religione, il messo di cartelle esattoriali, la portiera di notte, la telefonista, ma soprattutto dopo aver vinto il SuperCampiello, ha deciso di buttarsi in politica alla testa di tre liste, ProgReS, Gentes e Comunidades, che si richiamano alle radici e teorizza una nuova Sardegna che si rilanci con un mix tra i punti di forza tradizionali (l’agricoltura, l’allevamento, i grandi prodotti gastronomici, il vino…), il turismo colto e l’incontro con i nuovi mondi del web.
Web che potrebbe darle una mano, stando ai sondaggi, grazie al buco lasciato da Beppe Grillo. Il quale, dopo aver preso una valanga di voti alle politiche dell’anno scorso e dopo le delusioni in tutte le successive elezioni locali, ha preferito lasciar perdere. Tanto più che il Movimento 5 Stelle sardo era così litigioso intorno all’albero della cuccagna delle candidature da rischiare un naufragio controproducente per le Europee.
Proprio le Europee, infatti, anche a dispetto delle giuste rivendicazioni di un po’ tutti i candidati («Parliamo della Sardegna! Della Sardegna!») sono uno dei temi centrali per chi guarda le cose da Roma. Perché qui, nell’isola, sono messe alla prova tante cose. Il vuoto lasciato dai grillini resterà tale o sarà riempito dalla Murgia da giorni impegnata in scazzottate (micidiale lo scambio di colpi con Cappellacci: «Lui è come Schettino». «Lei ha la stazza della Costa Concordia» «Grazie presidente, con battute così mi porta voti») con la destra e la sinistra? Darà frutti, dopo le baruffe, l’alleanza post-Pdl tra berlusconiani e alfaniani? Ma soprattutto: riuscirà Renzi a vincere la sua prima prova da segretario Pd o, come scommette la destra, «finirà rollato come Veltroni»?
Certo è che il candidato del centrosinistra Francesco Pìgliaru, renziano della prima ora, somiglia al suo segretario come il pomo alla pera. E tanto quello è giovane, gagliardo, irruento, impaziente, impregnato di vis polemica quanto lui, già assessore di Renato Soru e subentrato in corsa a Francesca Barracciu (azzoppata dall’inchiesta sui rimborsi dopo aver vinto le primarie), rivendica le physique du rôle del docente universitario sessantenne, riflessivo, tranquillo, paziente, restio alle risse se proprio non ci viene tirato dentro. E anche questa, nella rissosa politica di oggi, è una scommessa.
Gian Antonio Stella

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