Apprendistato per i giovani, cura per la disoccupazione?
Per il presidente della commissione Lavoro alla Camera Cesare Damiano (Pd, nella foto) non servono «nuove regole» per il mercato del lavoro. Cambiare regole crea «una continua incertezza alle imprese e ai lavoratori ha detto Damiano — La strada è rilanciare i consumi, se non incoraggiamo i consumi e gli investimenti il paese non si riprese». Questa constatazione espressa ieri durante la presentazione dei risultati di una indagine sul mercato del lavoro, e in particolare sulle misure per fronteggiare l’emergenza occupazionale dei giovani, sembra più che altro un’allusione al «Jobs Act» di Matteo Renzi, ormai perso nei sottoscala del politicismo in attesa di un accordo con Berlusconi sulla legge elettorale e sulla riforma costituzionale. Quelle regole che il segretario Pd vorrebbe cambiare assicurando alle imprese una maggiore flessibilità in entrata e in uscita dei lavoratori, concendendo da un lato una ricompensa e due anni di «sussidio universale» al licenziato e, dall’altro lato, eleggendo l’apprendistato come forma di accesso prevalente al mercato del lavoro. Il contratto unico, un tempo indeterminato a garanzie graduali, prospettato da Renzi al momento non è altro che un periodo di prova prolungato di 36 mesi senza garanzia di assunzione, dunque un contratto simile all’apprendistato.
In questa cornice si inserisce l’indagine della Commissione lavoro della Camera che ha ascoltato le parti sociali (Confindustria e i sindacati) e gli esperti dell’Istat, Isfol e Italia Lavoro. Il consenso è unanime: la disoccupazione giovanile (al 41,7% tra i 15 e i 24 anni) si «cura» con l’apprendistato che ha prodotto fino ad oggi risultati irrisori: secondo l’Isfol, gli apprendisti erano il 2,4% degli occupati nell’ultimo trimestre 2013, 57.843 in tutto, –7% rispetto al 2012. Questa visione dell’apprendistato nasce dall’illusione che il mercato del lavoro italiano sia caratterizzato dalla richiesta di manodopera specializzata e dalla necessità di formare i giovani nelle aziende. I dati smentiscono una simile ipotesi. L’apprendistato resta un contratto di nicchia anche se la riforma Fornero l’ha esteso a 29 anni e persino alle università e all’«alta formazione». Anche il governo Letta lo considera la soluzione per la disoccupazione giovanile. Per questo resta in spasmodica attesa di 1,5 miliardi di euro dalla «Garanzia giovani», un programma europeo che finanzierà l’apprendistato, tirocini e stage entro quattro mesi dalla laurea o diploma. Per la Commissione Lavoro bisogna dunque «potenziare l’istruzione tecnica e professionale» e valorizzare il ruolo di scuole e università nel «collocamento degli apprendisti nel tessuto produttivo locale», sulle tracce del Decreto scuola del ministro Carrozza che ha stanziato risorse per introdurre l’apprendistato al IV e V anno dei professionali. Per questo bisogna riformare il sistema degli uffici di collocamento, a partire da un aumento degli addetti che in Italia «sono appena 7.500 a fronte dei 77 mila in Gran Bretagna e i 120 mila in Germania» sostiene Damiano.
Il pensiero unico sull’apprendistato è stato criticato, tra gli altri, dal Consorzio Almalaurea che nel desiderio di applicare a tutti i costi in Italia il modello «duale» tedesco (l’«alternanza scuola-lavoro») vede il rischio di trascurare la protezione del lavoro qualificato o dei laureati. Questo approccio cancella inoltre la discussione sulle tutele universali come il reddito minimo e l’innalzamento del salario minimo. Sempre ammesso che ci sia, la riforma del lavoro comporterà la creazione di un’agenzia unica federaleper coordinare i centri per l’impiego, riqualificare i lavoratori, erogare gli ammortizzatori sociali, Questa ipotesi è stata avanzata da Matteo Renzi il 9 gennaio scorso. Alla direzione di questa agenzia sembrano essere candidati in molti. C’è chi parla di Paolo Reboani, attuale Ad di Italia Lavoro, l’agenzia tecnica del ministero del lavoro. La «candidata naturale» (ha detto Reboani) a ricoprire la funzione auspicata dal Pd.
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