Il peso della sinistra pd sul programma Civati: «Io e altri dieci siamo a disagio»

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ROMA — Alla fine, tutto il Partito democratico dovrebbe votare la fiducia al nascente governo Renzi. Ma è probabile che, poi, il programma del l’esecutivo ancora in cantiere sarà influenzato — soprattutto su fisco, lavoro, Europa e riforme — dalla sinistra del partito, che è minoranza in direzione ma che può ancora fare il bello e il cattivo tempo nei gruppi parlamentari.
Così, dopo l’incarico che riceverà stamattina dal capo dello Stato, Matteo Renzi incontrerà le delegazioni dei partiti della coalizione e quando toccherà ai democratici (non potendo ricevere se stesso, in qualità di segretario nazionale) dovrà per forza ascoltare i capi delle due minoranze: Pippo Civati (14 % alle primarie e Gianni Cuperlo che ha superato di poco il 18%). Il primo, alla direzione di giovedì scorso, ha votato contro Renzi, il secondo a favore pur con grande sofferenza.
Per cui, in vista dell’incontro con il presidente incaricato, Civati non nasconde (anzi, la evidenzia ogni giorno) la tentazione di disertare l’appuntamento del voto di fiducia al governo Renzi, specificando che «una decina di parlamentari» della sua area «sono a disagio soprattutto al Senato»: «Quando saprò qual è il governo, da chi è composto e quale sarà il programma esprimerò il mio giudizio. Certo al momento anch’io sono molto a disagio». In realtà, per mettere in pericolo la tenuta del governo Renzi al Senato, ci vuole qualcosina di più dei sei voti sicuri espressi dai «civatiani» a Palazzo Madama, anche se poi alla squadretta guidata da Felice Casson e da Walter Tocci si dovessero unire i 4 o 5 senatori in fuga dal M5S . Alla Camera, con quasi 300 deputati con la casacca del Pd, il problema non si pone proprio.
Diverso il percorso intrapreso dai «bersaniani» e dalle altre aree che si affidano alla rappresentanza di Gianni Cuperlo. In queste ore, c’è una task force al lavoro (composta, tra gli altri, da Cesare Damiano, Stefano Fassina, Davide Zoggia) che sta perfezionando un denso documento programmatico da presentare in queste ore al presidente del consiglio incaricato. I filoni sui quali la sinistra del Pd concentra la sua attenzione sono sostanzialmente cinque: politica economica, lavoro, Europa, diritti, legge elettorale e riforme costituzionali. In particolare, Cuperlo (e Fassina, probabilmente) spiegheranno a Renzi che il nuovo governo non deve cedere a chi chiede «di limitare ancora di più i diritti dei lavoratori» e deve ascoltare, invece, chi invoca «minor rigore all’Europa» per favorire lo sviluppo e, dunque, l’occupazione.
La sinistra del Pd, poi, si trova in sintonia con Lorenzo Dellai (Popolari per l’Italia), che al capo dello Stato ha fatto presente un problema politico di grande rilevanza: vale a dire che la maggioranza chiamata a varare le riforme deve essere la stessa che sostiene il governo. Perché, soprattutto ora che si avvia verso Palazzo Chigi, «Renzi non può giocare su due tavoli, uno con Berlusconi per le riforme e un altro con la sua maggioranza per il programma di governo».
Ma c’è di più. La sinistra del Pd — che non chiederebbero ministri nonostante le insistenze dei renziani che così vorrebbero neutralizzare Cuperlo e compagni sul programma — presenterà al presidente incaricato un suo calendario di massima sulle riforme perché, con la crisi in atto, rischia di saltare la «road map» promessa solo qualche giorno fa dal segretario Renzi. Spiega ancora Zoggia: «In questo modo si scoprirebbe il gioco di Berlusconi che vuole solo la legge elettorale e non è interessato alla riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione…».
Insomma, per dirla con le parole dell’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, la minoranza di sinistra del Pd (che controlla però quasi il 50% dei gruppi parlamentari) indicherà a Renzi «le priorità politiche, economiche e sociali che dovrà affrontare il nuovo governo».


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