Per chi suona la campana? Confronto aperto su università e scuola

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Ogni mat­tina nelle scuole della Repub­blica suona la cam­pana d’ingresso per migliaia di stu­denti di ogni età e classe sociale. Da tempo però la cam­pana suona a morto per la cul­tura uma­ni­stica.
Cosa può uni­fi­care due espe­rienze così diverse, l’una reale, quo­ti­diana, dotata della forza dell’abitudine e l’altra meta­fo­rica, ideo­lo­gica, domi­nante, in assenza (o in occul­ta­mento) di punti di vista dif­fe­renti?
Le uni­fi­cano per­so­naggi come Andrea Ichino (strano potere dato ad alcuni indi­vi­dui e a un pen­siero forte di pochi pen­sieri, testardi e indi­mo­strati). L’idea del Nostro è, in fondo, inter­rom­pere quella con­sue­tu­dine mat­tu­tina in nome del tra­monto di un’ideologia uma­ni­ta­ria e uma­ni­stica: se la cul­tura è una merce come le altre, va trat­tata secondo i para­me­tri di red­di­ti­vità, rap­porto costi/benefici, spese impie­gate nella pro­du­zione che una qual­siasi merce deve mostrare e pos­se­dere per essere pro­dotta e venduta.

Que­sto dato il Mani­fe­sto per la difesa della cul­tura uma­ni­stica, sti­lato da Alberto Asor Rosa, Roberto Espo­sito, Erne­sto Galli Della Log­gia, lo coglie, sep­pur nella forma più tra­di­zio­nale dello scon­tro tra due cul­ture e nella riven­di­ca­zione di una spe­ci­fi­cità ita­liana nella difesa della cul­tura uma­ni­stica a noi con­na­tu­rata. Il nesso merce-saperi, stig­ma­tiz­zato nel Mani­fe­sto, appare come l’estensione del rap­porto di domi­nio del capi­tale anche agli aspetti sociali della vita umana e quindi come neces­sità del capi­ta­li­smo cogni­tivo di appro­priarsi del tempo di stu­dio, di lavoro, di ricerca e di tra­sfor­marlo in merce, in pro­dotti, in dati misu­ra­bili o valu­ta­bili, in ele­menti di scam­bio com­mer­ciale o di auto-imprenditorialità.
Chi lavora nell’università sa già di cosa stiamo par­lando: il com­mis­sa­ria­mento della ricerca e dell’insegnamento uni­ver­si­tari da parte di un pre­sunto ente terzo (ete­ro­ge­stito dai vari mini­stri, da Pro­fumo a Gel­mini a Car­rozza), l’Anvur, e – col pre­te­sto di misu­rare l’eccellenza e il merito – l’imposizione di stan­dard di ricerca, di mediane di giu­di­zio delle car­riere, di indi­ca­tori nume­rici per man­te­nere aperti o chiu­dere corsi di stu­dio e per­sino interi ate­nei. Pro­prio come si farebbe con un’industria dove il mana­ge­ment decide gli inve­sti­menti, le delo­ca­liz­za­zioni, la cig, le chiu­sure o le ces­sioni di rami d’impresa.

Ma la volontà di rego­lare dall’alto non basta ancora a spie­gare la par­ti­co­lare deter­mi­na­zione e il desi­de­rio di destrut­tu­rare e de-costruire la scuola e l’università pub­bli­che per sosti­tuirvi pezzi di scuola e uni­ver­sità sus­si­dia­rie. La spe­ci­fi­cità del pen­siero ita­liano domi­nante – a cui cor­ri­sponde la cate­go­ria umana dell’economista tur­bo­li­be­ri­sta con sin­drome mer­ca­ti­sta– è di pen­sare l’università e l’istruzione pub­blica di ogni ordine e grado come non più fun­zio­nali all’economia del Paese, e quindi di tra­sfor­mare il diritto allo stu­dio in un ser­vi­zio che si deve pagare e che deve costare un prezzo ade­guato agli stan­dard sta­bi­liti, agli inve­sti­menti, ai rien­tri eco­no­mici. Poco importa se per far que­sto si sacri­fica l’autodeterminazione degli indi­vi­dui sull’altare di una pro­gram­ma­zione auto­ri­ta­ria dei destini sociali e cul­tu­rali delle per­sone (il numero chiuso negli Atenei).

Ed ecco l’intervento dell’ideologia: si costrui­sce un idolo di comodo, inven­tan­dosi una cul­tura uma­ni­stica disin­car­nata, oziosa, stac­cata dai pro­cessi lavo­ra­tivi reali e un’idea con­trap­po­sta di saperi misu­ra­bili, effi­cienti, dediti a costruire ric­chezze e benes­sere futuro per tutti, magari nel pre­sente solo per le éli­tes con­so­li­date e mono­po­li­sti­che. Una volta costruito que­sto modello, si impon­gono forme di con­trollo dall’alto e non discu­ti­bili (rima­sti­ca­mento di pro­ce­dure inter­na­zio­nali ormai riget­tate) se non si vuole essere tac­ciati di pas­sa­ti­smo e di difesa corporativa.

Di fronte ad ogni arti­fi­ciale sem­pli­fi­ca­zione e alla ripro­po­si­zione di imper­mea­bili ripar­ti­zioni disci­pli­nari tra mate­rie uma­ni­sti­che e mate­rie scien­ti­fi­che, si deve tor­nare a riven­di­care la natura uni­ta­ria e com­plessa delle disci­pline e dei saperi, il legame neces­sa­rio tra la pro­du­zione dei saperi e la loro dif­fu­sione demo­cra­tica, il diritto allo stu­dio gene­ra­liz­zato come vera fonte di cono­scenza e di sti­molo per la ricerca di solu­zioni in grado di miglio­rare il tasso di vivi­bi­lità media.

Su que­sta nostra idea di scuola e uni­ver­sità rite­niamo urgente costruire un momento di con­fronto con tutte le forze in campo (sin­goli, movi­menti, asso­cia­zioni) che non si rico­no­scono nell’attuale gestione dell’istruzione e della ricerca.
Con­si­de­re­remo nostro inter­lo­cu­tore solo chi la smetta di caval­care le parole d’ordine del mer­cato, chi la smetta di con­fron­tarsi con le geo­me­trie di par­tito e i cal­coli elet­to­rali di corto respiro, solo chi sia legit­ti­mato da buone pra­ti­che di costru­zione degli stru­menti legi­sla­tivi e cul­tu­rali del cam­bia­mento, di capa­cità di sin­tesi di istanze diverse. Solo chi vorrà ascol­tare tutte le voci della comu­nità uni­ver­si­ta­ria, e non solo quelle di una parte che ha scelto un’università di élite e colo­niz­zata dal pen­siero neo­li­be­ri­sta, verrà rico­no­sciuto come espres­sione della volontà poli­tica dei cit­ta­dini. Diver­sa­mente sarebbe un incon­tro tra sordi e noi, invece, vogliamo unire le nostre voci a quelle dei nostri stu­denti, dei lau­reati, di quanti sono mar­gi­na­liz­zati in lavori pre­cari o obbli­gati all’emigrazione. Solo così saremo buoni inse­gnanti, fedeli ai pre­sup­po­sti sociali del nostro lavoro.

L’appello inte­grale su http://?ilma?ni?fe?sto?.it/?b?l?o?g?/?q?u?i?n?t?o?-?s?t?a?to/


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