by Sergio Segio | 14 Febbraio 2014 10:21
Ma i conti del 2013 annunciati ieri da Eni durante un incontro con la comunità finanziaria a Londra, hanno deluso la maggior parte degli analisti finanziari sia per gli obiettivi 2014, sia per un intervento giudicato meno incisivo del previsto sui debiti finanziari. Numeri che non hanno riscaldato il mercato, tanto che il titolo a Piazza Affari ha chiuso in calo dello 0,17%, in perfetto allineamento con l’indice principale.
Che non potesse essere un anno ricco di soddisfazioni si sapeva: «I problemi geopolitici», come li ha definiti l’amministratore delegato Paolo Scaroni, hanno condizionato in particolare le attività in due nazioni strategiche per il gruppo controllato dal Tesoro, Libia e Nigeria. La produzione di idrocarburi, l’anno scorso, ha così visto un calo (previsto) del 4,8 per cento a 1,62 milioni di barili al giorno. Per non dire dei problemi legati alla raffinazione, in calo in tutta Europa per il calo dei consumi e per la concorrenza degli impianti asiatici: per Eni il calo delle vendite per questa attività è stato del 12,8%.
Il che non poteva non ribaltarsi sui risultati finali: l’utile è in crescita del 24% a 5,2 miliardi, ma il risultato operativo adjusted è in flessione del 34% rispetto a un anno prima. La posizione finanziaria è negativa di 15,5 miliardi, nella fascia più bassa delle attese. Chiaro che di fronte a questo quadro l’attesa maggiore degli investitori è andata al piano industriale dei prossimi anni. Eni prevede un aumento della produzione del 3% tra il 2014 e il 2017, soprattutto tenendo conto che è una delle compagnie che ha messo a segno più scoperte negli ultimi anni (l’ultima è stata annunciata proprio ieri, un giacimento di gas al largo del Congo). Dovrà ristrutturare le attività di raffinazione: la capacità sarà ridotta del 22%, ma il tasso di utilizzo degli impianti dovrà salire all’80% entro il 2017. Ci sono poi riduzione degli investimenti del 4% in quattro anni e dismissioni per 9 miliardi, compresi gli asset russi che hanno già fruttato 2,3 miliardi.
Scaroni ha pure dato un piccolo dispiacere al governo Letta. Il ministro del Tesoro vorrebbe fare cassa, anche approfittando del piano di “riacquisto” di azioni proprie che potrebbe portare Eni a detenere fino al 10% del proprio capitale. Ma non con i tempi che avrebbe voluto Palazzo Chigi: «Sono sicuro che è chiaro al governo e a tutti quanti che non pensabile che l’Eni ricompri il 10 per cento in tre mesi». Un ultimo messaggio, Scaroni l’ha mandato proprio ai vertici dell’esecutivo. Chiunque sieda sulla poltrona da premier. In tema di nomine, l’ex manager Techint (gruppo Rocca) ed Enel ha invitato a decidere il prima possibile sul nuovo cda di Eni, in scadenza con la prossima assemblea di primavera: «Non si decidano il giorno prima». Pensava di dirlo a Enrico Letta, con tutta probabilità ora dovrà fare i conti con Matteo Renzi.
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