«Rischiamo grosso, ci giochiamo tutto» Ora il sindaco deve trattare con gli alleati
ROMA — L’unica battuta della giornata se l’è concessa a inizio Direzione, citando l’sms de La7 che lo invitava a ritardare l’inizio del discorso, causa spot. Per il resto, niente cinema, niente effetti speciali. Il ciclone Matteo Renzi ieri era diverso dal solito. Chi gli è stato vicino lo ha visto serio, compreso nella parte, consapevole della gravità del momento: «Qui rischiamo grosso, ci giochiamo tutto», ha confessato ai suoi. Ma senza mai un’incertezza, perché la decisione era presa da giorni e si trattava solo di portarla avanti nel migliore dei modi. E anche a sera, niente brindisi. I bicchieri per lo spritz avvistati dalle agenzie erano per il compleanno di una ragazza dello staff. «Guai a festeggiare ora» dicono i suoi. E in effetti ora il gioco si fa duro. C’è da formare un nuovo governo, affrontando il Cencelli degli alleati. C’è da lanciarsi a capofitto nelle nuove sfide del programma, per avere risultati in tempi brevi e disarmare chi è pronto ad azzannarlo alle prime difficoltà. Tra i primi provvedimenti si parla, oltre che di scuola e lavoro, anche di riforma della giustizia, tema che sta molto a cuore, com’è noto, anche al Cavaliere. Ma c’è da riprendere anche in mano il bandolo della legge elettorale, affrontando le resistenze dei piccoli partiti. A sera, Renzi lancia un tweet cauto, sobrio, lontano da ogni trionfalismo: «Un Paese semplice e coraggioso #proviamoci».
La giornata di Renzi comincia al Nazareno. Qui lo raggiunge il portavoce del partito Lorenzo Guerini, reduce dall’incontro con Enrico Letta, avuto insieme ai capigruppo Roberto Speranza e Luigi Zanda. Le agenzie scrivono che i tre gli avrebbero offerto il ministero dell’Economia. «È falso» ribatte Guerini, che si dice «basito». Poi Renzi si chiude da solo in ufficio a lavorare al discorso da tenere in Direzione, ormai convinto che si dovrà votare per ottenere le dimissioni di Letta. Coca-Cola sul tavolo, scrive su fogli di carta il discorso, attingendo le citazioni di Robert Frost e della Bibbia da un quadernino rosa che si porta sempre dietro. Il suo «attimo fuggente» sarà il perfetto contraltare al «domani è un altro giorno» di Letta.
C’è l’ordine del giorno, da concordare con tutte le anime del Pd. E c’è da capire come rendere l’onore delle armi al premier uscente. Parla con Luca Lotti e Maria Elena Boschi. Si confronta con Guerini, ma anche con Piero Fassino e Dario Franceschini. Alla fine decide per la formula del «notevole lavoro» svolto da un esecutivo «di servizio». Parla alla Direzione, che sa di avere in pugno, spiegando che non vuole mischiare «sentimenti con risentimenti» e che bisogna «mettere l’orgoglio personale in secondo piano». Ribalta l’accusa e rilancia la sua «smisurata ambizione» di cambiare il Paese. Poi ascolta gli interventi. Tra i tanti c’è quello di Goffredo Bettini: «Questa non è una staffetta: passiamo dalla continuazione di una certa storia di “governo tecnico” a un governo politico». Si preoccupa solo quando Gianni Cuperlo chiede di non votare. Poi guarda i lettiani andarsene prima del voto (la De Micheli è restata tutto il tempo con gli occhiali scuri, per nascondere la commozione). E incassa il voto che sancisce, simbolicamente, il suo ingresso a Palazzo Chigi.
Solo a quel punto la tensione si scioglie e il brindisi di compleanno consente un po’ di relax. Ma non troppo. E ai suoi dice: «Andiamo, dobbiamo sbrigarci». Fare, fare in fretta. L’inner circle di Renzi, il suo cerchio magico, vede al lavoro Guerini e Graziano Delrio, Lotti e Boschi. Domani, probabilmente, Renzi potrebbe già essere chiamato al Quirinale. C’è da studiare la squadra. E indicare le priorità.
Tra i primi provvedimenti, sarà fatto spazio alla scuola, all’edilizia scolastica e al lavoro. Il Jobs act sarà allargato a un tavolo che comprenderà anche le forze sociali, Confindustria e sindacati. E poi c’è da decidere il da farsi con gli otto decreti Letta. Quattro sono in scadenza e su alcuni, come il Milleproroghe e il Destinazione Italia, sono piovute nelle scorse settimane critiche anche feroci dei renziani. E poi c’è la legge elettorale. I tempi rischiano di allungarsi e quei piccoli partiti che rischiavano di essere schiacciati e che, finora, erano stati maltrattati ora potrebbero essere fondamentali.
Oggi Renzi sarà a Firenze. E forse parlerà anche del suo doppio incarico, che rischia di diventare triplo. Il segretario del Pd, presto premier, dovrà lasciare il suo posto a Palazzo Vecchio. Uno dei candidati alla sua successione, Dario Nardella, lo ha incoraggiato fino all’ultimo: «Buttati, non avere paura. Hai solo un colpo in canna».
Alessandro Trocino
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