by Sergio Segio | 13 Febbraio 2014 8:09
ROMA — Al Senato, dove la maggioranza del governo Letta-Alfano viaggia con numeri risicati ma non ad «alto rischio» ribaltone, è di nuovo in voga il pallottoliere. Ce la farà, infatti, un eventuale governo Renzi a fare meglio dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi? In linea del tutto teorica, il sindaco di Firenze dovrebbe poter contare sulla base dei senatori che sostengono il Letta I (da 171 a 175, quando votano a favore i 4 che hanno già lasciato i Cinquestelle) alla quale si aggiungerebbero i «quattro più quattro» (nuovi acquisti dai banchi del M5S e di Sel). Renzi, dunque, potrebbe contare su una maggioranza ancor più sicura che oscilla tra i 179 e i 183 seggi e potrebbe addirittura tentare la fuga in solitario se la Lega (15 senatori) lo appoggiasse.
Resta da vedere se questi numeri sarebbero validi anche per il voto di fiducia di un eventuale Renzi I o solo per i singoli provvedimenti messi in votazione. Ieri sera, per esempio, il decreto Letta che taglia il finanziamento pubblico ai partiti è passato con 171 voti contro 55 ma nel conto della «maggioranza» bisogna metterci anche Forza Italia come del resto, in altre occasioni, alcune votazioni (vedi l’elezione del presidente Grasso, che ieri ha avuto un lungo colloquio a Palazzo Madama con il segretario di Stato vaticano, monsignor Pietro Parolin) sono andate a buon fine grazie al fondamentale apporto dei grillini.
Quindi vanno considerate molte variabili prima di avere certezze sui numeri. Innanzitutto conta il fattore tempo, osserva il renziano-ex dalemiano Nicola Latorre: «Nel breve periodo non è necessario alcun innesto mentre nel medio e lungo periodo qualcosa dovrà accadere. Un aiuto dal M5S lo vedo difficile mentre su Sel si vedrà…».
La seconda variabile ha a che fare con la natura dell’opposizione. E stavolta a parlare è il veltroniano Giorgio Tonini: «Ai tempi di Prodi con due, tre voti di scarto si andava a sbattere perché l’opposizione berlusconiana era un vero esercito napoleonico che faceva muro compatto in Aula. Oggi le due opposizioni, FI e Grillo, marciano separate. E così i sette-otto voti di scarto che ha oggi il governo Letta pesano molto di più del semplice conteggio numerico e peseranno ancor di più se Renzi sarà capace di raddoppiare il vantaggio».
C’è poi una terza variabile che segnala Dario Stefàno (Sel) e che riguarda gli equilibri interni a ciascun governo: «Con Letta presidente del Consiglio, Alfano del Ncd è vicepremier e ministro dell’Interno e Mauro dei Popolari per l’Italia ricopre un incarico pesante alla Difesa. Bene. Cosa succederà se questi partiti, medi e piccoli, dovessero perdere con Renzi le poltrone di prima fila?». In altre parole, è sicuro Renzi di poter contare «al buio» su tutta la maggioranza che ora appoggia Letta?
A spargere un po’ di veleno intorno alla possibile «nuova maggioranza» ci pensano anche i senatori di Forza Italia che si aspettano addirittura qualche ritorno a casa dei cugini del Nuovo centrodestra: «Con Letta sono partiti con cinque ministri (ora sono quattro perché Nunzia De Girolamo si è dimessa, ndr ), con Renzi ne avrebbero due…». In casa di Berlusconi, tuttavia, c’è anche chi non esclude l’appoggio a Renzi premier: «È uno che ha invitato il Cavaliere a casa sua e per questo mi sta simpatico», dice un disponibilissimo Antonio Razzi. Che aggiunge: «Magari riuscissimo a fare qualcosa insieme a Renzi. Sarebbe un vantaggio per l’Italia».
Infine ci sono le questioni personali che potrebbero pesare. La vicepresidente del Senato Linda Lanzillotta (Scelta civica) ieri ha lanciato fulmini e saette contro l’alleato Pd che non ha voluto votare un suo emendamento mirato a tagliare i finanziamenti senza tetto delle grandi aziende pubbliche (Eni, Finmeccanica, Enel, Acea, ecc) alle fondazioni dei politici: «Devo dire — ha osservato Linda Lanzillotta — che qui al Senato il nuovo Pd ancora non si è visto».
Dunque, con tutte queste variabili in campo, non resta che tornare ai modelli teorici, magari facendo qualche nome e cognome. Allora Renzi al governo, con una svolta di discontinuità rispetto a Letta, potrebbe forse conquistare l’appoggio di quattro senatori di Sel (Dario Stefano, Peppe De Cristoforo, Massimo Cervellini, Luciano Uras), di quattro grillini che in queste ore danno segni di forte impazienza (Monica Casaletto, Laura Bignami, Luis Alberto Orellana, Lorenzo Battista) e infine anche dei quattro fuoriusciti storici dal M5S (Marino Mastrangeli, Adele Gambaro, Paola De Pin, Fabiola Anitori). Otto/dodici senatori in più rispetto a Letta. Calcolo azzardabile solo se tutto il resto della maggioranza tiene.
Dino Martirano
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