by Sergio Segio | 12 Febbraio 2014 11:24
Dal terzo Plenum che ha determinato la virata riformista della leadership cinese, sembra ormai passato un secolo. È stato creato un Consiglio di sicurezza nazionale e a fine gennaio scorso è stato creato il ristretto team che dovrà assicurarsi che le riforme economiche procedano spedite. Ora viene il difficile, come sottolineano i media cinesi, imbeccati dai leader del Partito che ha spiegato come «i problemi vadano affrontati uno per uno».
Lo scorso 24 gennaio Xi Jinping ha stabilito i nomi dei suoi compagni di riforme: Li Keqiang, Liu Yunshan e Zhang Gaoli. Compreso Xi, si tratta di quattro dei sette membri dell’Ufficio centrale del Politburo. Il nocciolo duro dei capi del paese, ennesimo sintomo di un accentramento del potere da parte dell’attuale Presidente che non ha eguali nella storia della Repubblica popolare.
«L’assegnazione di quattro membri permanenti del Politburo nel gruppo di testa dimostra la determinazione di Xi a portare avanti le riforme globali attraverso questa organizzazione di nuova costituzione, piuttosto che attraverso i tradizionali sistemi burocratici», è stato il commento dell’analisti politico pechinese Zhang Lifan. Xi — in particolare — ha chiesto ai sottogruppi successivamente creatisi di concentrarsi su sei categorie di riforma: economia ed ecologia, cultura, sistemi sociali, democrazia e diritto, costruzione del partito e disciplina di partito.
«La menzione di riforme in senso democratico potrebbe sollevare aspettative del pubblico su possibili riforme politiche. Ma bisogna ancora aspettare e vedere», ha concluso Zhang.
Nel frattempo alcuni media finanziari hanno cominciato a mettere in guardia la Cina per quanto riguarda i debiti delle proprie aziende, legate a un sistema bancario del tutto particolare. Come ha scritto il Wall Street Journal, «il debito societario della Cina è aumentato più rapidamente di quanto la sua economia si sia espansa nel corso degli ultimi cinque anni. Secondo JP Morgan Chase, il debito societario della Cina era pari al 124% del prodotto interno lordo nel 2012, dal 111% nel 2010 e il 92% nel 2008. L’economista di JP Morgan, Haibin Zhu, ha detto che la cifra probabilmente è aumentata ulteriormente nel 2013». Secondo i dati il debito societario nelle economie emergenti comparabili è dal 40% al 70% del PIL, mentre negli Stati Uniti la percentuale è dell’81%, secondo JP Morgan.
«Sebbene i carichi di debiti pesanti possono ferire le aziende, ha scritto il quotidiano inglese, c’è anche preoccupazione per l’impatto sui finanziatori». In Cina, infatti, le banche tendono a tenere i prestiti nei loro bilanci e sono i maggiori acquirenti di obbligazioni societarie. «L’alto debito societario è la più grande vulnerabilità per il settore finanziario cinese, seguita dal sistema bancario ombra e dalle emissioni di debito dai governi locali», ha detto Zhu.
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