by Sergio Segio | 12 Febbraio 2014 11:18
ROMA — «Io farò in modo che tutto accada alla luce del sole». Adesso che è finito in trappola, Enrico Letta tenta il tutto per tutto. Sa che può essere irreparabilmente tardi e che sul suo destino politico «agirà la provvidenza», eppure passa al contrattacco e sfida il segretario del Pd, per costringerlo a gettare la maschera: «Se Renzi vuole prendere il mio posto a Palazzo Chigi deve dirlo a chiare lettere. Il mio partito vuole sfiduciarmi? Lo faccia nelle sedi opportune, perché io non mi dimetto». Il premier è deluso, impressionato dalla velocità con cui, in una manciata di giorni, si è ritrovato accerchiato e isolato. Però è convinto di essere nel giusto e determinato a far sì che ognuno, a cominciare dal sindaco di Firenze, «si assuma davanti agli italiani le proprie responsabilità».
Stamattina il premier dovrebbe incontrare Matteo Renzi, perché il capo dello Stato ha chiesto ai duellanti di cercare «all’interno del Pd» un accordo, una via di uscita. Il pressing su Letta perché si dimetta è fortissimo. Secondo fonti parlamentari anche Angelino Alfano e Maurizio Lupi, saliti ieri sera da lui, gli avrebbero chiesto di arrendersi, ma Palazzo Chigi smentisce: «Al contrario, gli hanno chiesto di restare». Il premier è davanti all’ultimo bivio. Passo indietro o estremo tentativo di rilanciare il governo? Se imboccherà questa seconda strada, chiamerà i giornalisti in conferenza stampa e presenterà il contratto di governo che ha ribattezzato «Impegno Italia», cancellando la data di scadenza dell’esecutivo. Parlerà ai lavoratori, ai disoccupati, al mondo politico ed economico. Elencherà riforme e nomi dei nuovi ministri e chiederà al Pd di rinnovargli la fiducia oppure di negargliela, domani in direzione.
O almeno, questo era il piano di Letta prima del big bang. «Un patto di coalizione incentrato sulla ripresa economica — che sperava di presentare già nel pomeriggio di ieri —. Un patto che convincerà tutti i partiti che sostengono l’esecutivo». Ma ieri notte il clima a Palazzo Chigi era drammaticamente mutato. A dominare era la tentazione di dare sfogo, pubblicamente, a un’arrabbiatura senza precedenti per Letta: «Io non mi dimetto. Vado avanti alla luce del sole, fino alla fine». Dove la «fine», se tutto dovesse precipitare, è l’idea estrema di rischiare la sfiducia in Parlamento: «Non sono disponibile a nessun compromesso. E non mi presto a manovre di palazzo o macchinazioni di potere. Per quanto mi riguarda non c’è alcun piano B». E se i renziani parlano apertamente delle contropartite possibili, dipingono Letta pronto ad accettare da Renzi la guida della Farnesina o, in subordine, a concedergli un «lasciapassare» per fare il commissario Ue, Letta scaccia queste ipotesi con una risata amara: «Tutte cose che respingo categoricamente. Chi le propone prova ad applicarmi standard etici e di dignità della politica che forse appartengono a chi le immagina, ma non a me». Anche questo potrebbe dire Letta davanti alle telecamere, a meno che Napolitano non gli chieda di tapparsi la bocca per il bene del Paese.
Ieri mattina, prima di partire per Milano, il premier ha fatto tappa al Quirinale ed è sceso dal Colle quaranta minuti dopo, con la speranza di avere ancora il sostegno del capo dello Stato. «Mi ha detto di andare avanti, io al governo e Renzi alle riforme», ha confidato ai suoi. Ma poi, ora dopo ora, lo scenario è cambiato. Il governo Renzi ha preso corpo, con i fedelissimi del sindaco che parlavano di una lista dei ministri: per il governo del «dopo Letta», non per un bis del premier… Ore nere, per l’ex vicesegretario del Pd, che pure aveva messo nel conto sin dal principio i rischi di un governo pro tempore. Quel che non aveva previsto e che adesso lo addolora sono i «voltafaccia», i «tradimenti», lo schierarsi rapidissimo dei ministri a lui più vicini con il leader democratico. Un vuoto pneumatico che Letta non ha voluto vedere, nonostante gli amici abbiano fatto a gara nel metterlo in guardia. Solo ieri, a clessidra ormai quasi vuota, il premier ha ammesso di aver aspettato troppo a lungo per reagire: «Se ho tenuto nel cassetto la mia proposta di rilancio è perché mi sono fidato di Renzi, che mi chiedeva tempo per garantire il percorso delle riforme. Io sono sempre stato leale». Ma ora i lettiani, che parlano di Renzi come di un «lanzichenecco», dicono che «era tutto un bluff». «Una copertura, sotto la quale ordire la trama del nuovo governo».
Monica Guerzoni
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