La Ue: «Truppe contro le rivolte»

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In Bosnia Erze­go­vina (BiH) le mobi­li­ta­zioni sono con­ti­nuate in tutto il fine set­ti­mana e nella gior­nata di ieri, nono­stante le dimis­sioni dei primi mini­stri dei can­toni di Tuzla, Sara­jevo, Mostar e Bihac, del respon­sa­bile della sicu­rezza nella capi­tale, Himzo Seli­mo­vic, e il rila­scio della mag­gior parte dei dimo­stranti arre­stati nei giorni scorsi. La rivolta inne­scata dai lavo­ra­tori di alcune fab­bri­che pri­va­tiz­zate di Tuzla, che venerdì è cul­mi­nata in una gior­nata di scon­tri con la poli­zia e nella distru­zione di edi­fici gover­na­tivi in alcune delle mag­giori città del paese, si è però tra­sfor­mata per il momento in una serie di sit-in e di pre­sìdi paci­fici davanti alle prin­ci­pali sedi delle istituzioni.

L’atmosfera sem­bra essere quella di una calma densa di aspet­ta­tive, e nes­sun com­men­ta­tore si sbi­lan­cia nel fare pre­vi­sioni su quali potreb­bero essere gli svi­luppi dell’esplosione di rab­bia mani­fe­sta­tasi la scorsa set­ti­mana.
Il pre­si­dente della Fede­ra­zione di Bosnia Erzer­go­vina, una delle due entità che com­pon­gono il paese, Zivko Budi­mir, ha dichia­rato che «i poli­tici hanno inteso la voce della gente forte e chiaro», ma che la vio­lenza deve ces­sare. Sulla stessa linea le dichia­ra­zioni di Bakir Izet­be­go­vic, uno dei tre pre­si­denti della BiH, e di Zla­tko Lagu­m­d­zija, mini­stro degli Esteri. Secondo quest’ultimo, «il com­pren­si­bile males­sere della popo­la­zione è stato mani­po­lato da gruppi che hanno l’obiettivo di distrug­gere [il paese, ndr]».

I poli­tici sem­brano in gene­rale con­cordi nell’indicare gruppi di hoo­li­gan come respon­sa­bili di quanto avve­nuto nei giorni scorsi, e nel ten­tare di unire la popo­la­zione nella con­danna della vio­lenza, e quindi delle pro­te­ste. Alcuni hanno per­sino para­go­nato i mani­fe­stanti di venerdì a Sara­jevo con gli aggres­sori della città negli anni della guerra. Aldin Arnau­to­vic, sul por­tale di infor­ma­zione Birn, ha però messo in rilievo come que­sto para­gone equi­valga di fatto a pre­pa­rare il ter­reno per il lin­ciag­gio dei dimo­stranti. Allo stesso modo ha com­men­tato su Radio Sara­jevo anche Mile Stoijc, noto gior­na­li­sta locale, soste­nendo che «gli hoo­li­gan si tro­vano nelle strut­ture del potere», men­tre coloro che hanno par­te­ci­pato agli scon­tri rap­pre­sen­tano la gene­ra­zione «di quelli che sono nati durante la guerra, in povertà e senza spe­ranza, cre­sciuti in un ambiente scio­vi­ni­sta, di odio, xeno­fo­bia e di mise­ria mate­riale e spi­ri­tuale, e che oggi cer­cano di por­tare l’attenzione sulla pro­pria esi­stenza in que­sto modo, per­ché non hanno altri mezzi».

Le dichia­ra­zioni dell’Alto Rap­pre­sen­tante della comu­nità inter­na­zio­nale in Bosnia Erze­go­vina, Valen­tin Inzko, secondo cui «se la situa­zione peg­gio­rasse dovremmo ricor­rere all’invio di truppe dell’Unione euro­pea», non hanno con­tri­buito a disin­ne­scare la ten­sione di que­sti giorni. Anche per­ché il qua­dro regio­nale è – se pos­si­bile – ancora più tor­bido di quello interno.

Dome­nica il vice pre­si­dente del governo serbo Alek­san­dar Vucic si è incon­trato con i lea­der serbo bosniaci Milo­rad Dodik e Mla­den Bosic, per discu­tere gli svi­luppi della crisi in Bosnia Erze­go­vina. Dodik, pre­si­dente dell’entità bosniaca a mag­gio­ranza serba, la Repu­blika Srp­ska (Rs), ha dichia­rato che l’obiettivo delle pro­te­ste è «desta­bi­liz­zare la Rs per pro­vo­care l’intervento della comu­nità inter­na­zio­nale nelle vicende del paese», e che «il caos nella Fede­ra­zione […]mostra che la BiH non può soprav­vi­vere alle sfide interne e che non fun­ziona».
Il primo mini­stro della Croa­zia, Zoran Mila­no­vic, si è invece recato a Mostar, dichia­rando di voler «cal­mare la situa­zione». La visita è stata però cri­ti­cata da Zel­jko Komšic, uno dei tre pre­si­denti della Bosnia Erze­go­vina, secondo cui il pre­mier croato sarebbe dovuto andare a Sara­jevo. Inter­ro­gato sul per­ché non si fosse recato nella capi­tale, Mila­no­vic ha rispo­sto che Mostar «è più vicina» alla Croazia.

A Mostar, però, città bosniaca oggi a mag­gio­ranza croata, le sirene della divi­sione etnica non sem­brano per il momento attec­chire. Nei giorni scorsi i dimo­stranti, oltre all’edificio del governo, hanno attac­cato sia la sede del par­tito croato Hdz che del bosniaco musul­mano Ssa. Un gio­vane mosta­rino, Teo Gran­cic, ha scritto un arti­colo che sta avendo molto suc­cesso in rete spie­gando che le pro­te­ste di Mostar «non le hanno fatte i musul­mani, né gli hoo­li­gan, né gli anar­chici, né gente pagata per farlo. Le ha fatte il popolo».

Sui muri di Tuzla, nei primi giorni delle pro­te­ste, gli ope­rai hanno scritto «Dimis­sioni! Morte al nazio­na­li­smo!» Per il momento, nes­suno è riu­scito a met­tere il cap­pello etnico ai dimo­stranti. Al con­tra­rio, soli­da­rietà ai mani­fe­stanti bosniaci è arri­vata anche da Bel­grado, dove ieri si è svolta una mani­fe­sta­zione cui hanno par­te­ci­pato alcune cen­ti­naia di per­sone, con­vo­cate sem­pli­ce­mente su Face­book da un gruppo deno­mi­nato “Soste­gno dalla Ser­bia alla gente di Tuzla”. Nella con­vo­ca­zione si scrive che «la migliore soli­da­rietà che pos­siamo mostrare è orga­niz­zarci anche noi con­tro il furto delle risorse della gente che con­ti­nua da ormai 20 anni, attra­verso guerre e pri­va­tiz­za­zioni».
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