I verdi tedeschi a Congresso: «No all’austerity»

by Sergio Segio | 11 Febbraio 2014 9:41

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«La poli­tica del governo tede­sco ha con­tri­buito in modo deter­mi­nante all’inasprimento della crisi»: così scri­vono i Grü­nen nel loro pro­gramma elet­to­rale per le euro­pee. Angela Mer­kel è cor­re­spon­sa­bile del cat­tivo stato in cui versa il Vec­chio con­ti­nente: in Ger­ma­nia i Verdi sono rima­sti, insieme alla Linke, gli unici a dirlo con chia­rezza. I social­de­mo­cra­tici della Spd hanno smesso di farlo da quando sono alleati dei demo­cri­stiani (Cdu/Csu) nella grosse Koa­li­tion: ora è impos­si­bile ascol­tare da Sig­mar Gabriel e com­pa­gni una cri­tica alla gestione della crisi messa in atto dalla can­cel­liera negli anni scorsi.

Si è con­cluso dome­nica, a Dre­sda, il con­gresso in cui gli eco­lo­gi­sti hanno varato il pro­gramma e le liste per l’appuntamento con le urne del 25 mag­gio: il mes­sag­gio poli­tico emerso dalle assise è di oppo­si­zione netta nei con­fronti della linea dell’austerità seguita sino ad ora sia dalle isti­tu­zioni comu­ni­ta­rie sia dai governi nazio­nali. Quella dei «risparmi» ad ogni costo è una rispo­sta sba­gliata ad una crisi gene­rata, secondo i Verdi, da «un modello di svi­luppo inso­ste­ni­bile», fon­dato sulla dere­go­la­men­ta­zione finan­zia­ria e dai dise­qui­li­bri nelle bilance com­mer­ciali fra i Paesi dell’Unione.

Il governo tede­sco sba­glia a soste­nere che la crisi dell’Euro sia essen­zial­mente dovuta ai debiti ecces­sivi della cosid­detta peri­fe­ria: «Paesi come l’Irlanda e la Spa­gna ave­vano un rap­porto debito/pil deci­sa­mente infe­riore a quello della Ger­ma­nia. Nel corso della crisi finan­zia­ria entrambi i Paesi sono stati costretti ad aumen­tare il loro debito per sal­vare, con miliardi di aiuti, le ban­che». Con­tro la fal­si­fi­ca­zione mora­li­stica tanto cara a Mer­kel e alle élite libe­ral­con­ser­va­trici – «gli stati-cicala hanno vis­suto al di sopra delle loro pos­si­bi­lità» –, gli eco­lo­gi­sti evi­den­ziano i difetti della costru­zione di una moneta comune senza una poli­tica eco­no­mica coor­di­nata a livello con­ti­nen­tale, rico­no­scendo come la Ger­ma­nia abbia «tratto enor­me­mente pro­fitto dall’euro».

Moneta unica che secondo i Grü­nen occorre man­te­nere, per­ché un ritorno alle divise nazio­nali – vagheg­giato dagli euro­fobi di Alter­na­tive für Deu­tschland (al 6% nei son­daggi) – avrebbe con­se­guenze nega­tive anche per l’economia tede­sca. Ser­vono, dun­que, i mec­ca­ni­smi «salva-euro» appron­tati negli ultimi anni, ma non vanno bene «le con­di­zioni anti­so­ciali delle misure di sal­va­tag­gio»: quelle «con­tro­pre­sta­zioni» fatte di tagli e «riforme» impo­ste da Mer­kel a tutti gli stati bene­fi­ciari di «aiuti». Ciò che va chie­sto a que­sti Paesi in cam­bio dei soldi euro­pei, dicono i Verdi, non sono «riforme» neo­li­be­rali, ma rego­la­men­ta­zioni del set­tore ban­ca­rio, miglio­ra­mento del sistema fiscale, lotta alla cor­ru­zione, ridu­zione delle spese mili­tari. Inol­tre, vanno messi in un fondo comune euro­peo di ammor­ta­mento le quote di debito ecces­sivo (oltre il 60% sul pil) dei Paesi in crisi, in modo che i costi del suo rifi­nan­zia­mento siano calmierati.

Dal con­gresso di Dre­sda for­tis­sime cri­ti­che anche nei con­fronti del defi­cit demo­cra­tico nella gestione della crisi e, in gene­rale, nella vita dell’Ue: ultimo esem­pio, i nego­ziati sul trat­tato di libero scam­bio con gli Usa (Ttip), che avven­gono in gran segreto. Il con­tra­sto al potere delle lobby eco­no­mi­che che spa­dro­neg­giano a Bru­xel­les è stato al cen­tro dell’intervento di Sven Gie­gold, eletto capo­li­sta insieme a Rebecca Harms. Gie­gold, euro­de­pu­tato uscente ed ex por­ta­voce di Attac Ger­ma­nia, si è impo­sto nel voto dei dele­gati sul mode­rato Rei­n­hard Büti­ko­fer: un’importante vit­to­ria per la cor­rente di sini­stra del par­tito, rima­sta orfana dei suoi prin­ci­pali lea­der dopo le ele­zioni di set­tem­bre. I son­daggi più recenti attri­bui­scono ai Grü­nen un con­for­te­vole 10%: meglio delle ultime poli­ti­che (8,4%), ma 2 punti in meno rispetto alle euro­pee del 2009.

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