In famiglia sette milioni di «adulti giovani» Come ridare agli under 34 lavoro e autonomia

by Sergio Segio | 10 Febbraio 2014 7:59

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Le nostre famiglie sono diventate un parcheggio per giovani. Secondo un’elaborazione della Coldiretti sulle tabelle allegate all’ultimo «Rapporto sulla coesione sociale» (con dati Istat 2012) sono circa 7 milioni i giovani italiani tra i 18 ed i 34 anni che vivono con almeno un genitore. Di questi, 3,8 milioni sono ragazzi tra i 18 ed i 24 anni – e fin qui non c’è niente di cui stupirsi – ma assieme ad essi sono parcheggiati anche 3,2 milioni di persone tra i 25 ed i 34 anni. La maggioranza sono maschi (4 milioni), un milione in piu’ rispetto al totale delle ragazze che abitano in famiglia. La tendenza è segnalata in crescita: nel 2011 i giovani italiani che tra i 18 ed i 34 anni vivevano con almeno un genitore erano poco meno di 7 milioni. Se questi sono i dati – pesanti ma in verità non particolarmente nuovi – la riflessione ci deve condurre più in avanti e spingerci a chiedere come si possa credibilmente ridurre il numero dei ragazzi «in attesa di autonomia». Che si debba operare in tal senso non ci sono dubbi. La permanenza sotto il tetto familiare non è negativa solo perché segnala un mancato assorbimento di nuove leve da parte del mercato del lavoro ma anche perché allunga il ciclo dell’adolescenza e finisce per creare una figura ibrida come quella dell’adulto giovane al quale vengono a mancare almeno una decina di anni di prove di responsabilità. Il ritardo dell’autonomia abitativa ed economica porta con sé inevitabilmente una maturazione più lenta e una minore presa diretta sugli avvenimenti della propria vita.
Detto questo però nell’anno di grazia 2014, che si segnala per essere il Sesto anno della Grande Crisi, la domanda diventa spietata: è possibile chiudere in tempi brevi questo parcheggio o perlomeno ridimensionarlo significativamente? La risposta sincera è: purtroppo, no. Dovremo convivere a lungo con il fenomeno degli adulti giovani ma non per questo dobbiamo cedere le armi e rinunciare a una strategia di contenimento. Dobbiamo quindi utilizzare ciò che comunque di buono la protezione dei genitori fornisce (sostanzialmente una rete di welfare nel senso più ampio della parola) e introdurre elementi di assunzione di responsabilità e di fuoriuscita dal circolo vizioso dell’immobilismo.
Una prima idea potrebbe essere quella di lanciare una sorta di Erasmus della responsabilizzazione. Copiando il format europeo che organizza soggiorni lunghi dei nostri ragazzi in un Paese straniero le organizzazioni del no profit potrebbero lanciare un’iniziativa analoga. Inviare i nostri adulti giovani a farsi le ossa lontano dalla famiglia come «gestori» di piccole e medie realtà sociali usufruendo del loro livello di istruzione e di conoscenze digitali sicuramente (entrambe) superiori a quelle delle generazioni precedenti. Sia chiaro non si tratta di prendersi in carico di giovani per metterli a fare fotocopie bensì di garantire loro un tirocinio di responsabilità che sia in parallelo anche un’occasione di maturazione psicologica e umana.
Il secondo tema è quello del lavoro. I genitori dovrebbe impegnarsi a spendere la loro influenza per far sì che i figli, anche se laureati, non rinuncino alle occasioni di lavoro che capitano. Anche se si tratta di posizioni molto distanti per profilo professionale/status/retribuzione dagli obiettivi che ci si era dati. E’ molto probabile che le paghe di questi lavori – che una volta snobbavamo e chiamavamo mcjobs – non consentano la piena autonomia economica e abitativa, comunque segnano una fuoriuscita dal meccanismo della dipendenza assoluta e portano ad accumulare esperienze. E’ chiaro che per essere credibile «la società dei padri» deve impegnarsi a rendere possibile la mobilità verticale e quindi a consentire a un adulto giovane che comincia da cameriere la chance di poter crescere. Vuol dire, per prima cosa, incalzare le aziende dei settori labour intensive – quelle che assumono – a creare al loro interno percorsi di mobilità (alcune già lo fanno) e a pescare i loro futuri quadri e dirigenti tra le reclute della cucina o del magazzino.
P.S. C’è un altro modo per affrontare il fenomeno degli adulti giovani. Dare tutta la colpa alla politica. Troppo facile.

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