Il minicomputer da 5 euro che cambierà il pianeta

by Sergio Segio | 9 Febbraio 2014 7:44

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Dare un senso alle migliaia di personal computer che noi “ricchi” buttiamo via quando non sono più all’ultima moda.

PROPRIO quei computer che di solito vanno a formare gigantesche e nocive discariche proprio nei paesi meno sviluppati. Già sentito? In parte sì, ma è una falsa impressione. Tutto ciò infatti assomiglia molto all’impresa che il guru della Rete Nicholas Negroponte annunciò nel 2006: One Laptop Per Child, dare un computer (da 100 dollari era l’obiettivo, mancato di poco) per ogni bambino. Ma la differenza più rilevante non è il prezzo. È che qui il computer, inteso come oggetto fisico, non c’è più. Sta tutto dentro una chiavetta Usb: la infili dentro qualunque pc, anche vecchio, e quel pc diventa magicamente la tua scrivania, con le tue applicazioni (Facebook, Twitter, Skype comprese) e i tuoi documenti e un sistema operativo, questo sì, nuovo di zecca, che le fa funzionare. E quando hai finito, estrai la chiavetta e nel personal computer non resta traccia del tuo uso.
A questo punto va chiarito cosa c’entra il porcospino. È il simbolo della campagna di raccolta fondi da poco lanciata sul sito Indiegogo. E prende il nome da una startup che si chiama Keepod che in ebraico vuol dire appunto porcospino: «Perché è piccolo, carino e sa come difendersi», la spiegazione. Analogamente la chiavetta Usb è piccola, con un bel design e protegge i tuoi dati e la tua privacy con i denti (o con gli aculei, fa lo stesso). È stato scelto un nome ebraico perché la startup è tecnicamente israeliana, sebbene il suo fondatore, Nissan Bahar, 35 anni, pur nato a Tel Aviv, abbia una madre italiana, abbia studiato a Pavia e abbia fatto partire la società a Milano.
La storia infatti, questa meravigliosa storia che potrebbe segnare una pietra miliare nella storia dei computer e risolvere uno dei grandi problemi del pianeta, ha inizio in Italia. Un paio di anni fa viene messa sul mercato una chiavetta Usb da 64 euro destinata al professionista che viaggia spesso ed ha bisogno di molta privacy. Un cliente che gira con dati sensibili che non può perdere insomma. Che c’è di meglio che tenere tutto su una chiavetta protetta da password? Già
allora Nissan Bahar e il suo socio italiano Franky Imbesi vanno in giro dicendo «il pc è morto». Il mercato risponde bene: chiudono accordi persino con due grandi gruppi bancari, Unicredit e Montepaschi Siena. Ma a quel punto si accorgono che la loro tecnologia si presta a fare qualcosa di molto più importante di garantire la privacy in mobilità di un top manager: portare le funzioni di un personal computer ai 5 miliardi di abitanti del pianeta che ancora non ne hanno uno. Le funzioni, non il personal computer. E così, basandosi sull’architettura aperta di Linux, sviluppano un sistema operativo che sta dentro una chiavetta (fin qui, già visto) «e che può usare anche chi non ha una laurea in informatica » (e questa invece è una novità). Funziona!
Bahar e Imbesy decidono che per cambiare il mondo devono cominciare da qualche parte a distribuire chiavette. Serve un posto simbolo. Fanno un accordo con l’organizzazione non governativa LiveInSlums (più o meno: vivere nelle baracche delle periferie) e individuano il quartiere di Mathare, a Nairobi, in Kenya, dove abitano circa cinquecentomila persone in condizioni che definire estreme è un eufemismo. Per far avere millecinquecento chiavette, distribuire una cinquantina di vecchi computer rigenerati da condividere e fare un programma di formazione servono 38mila dollari. Non sono tanti, ma la scelta di chiedere alla rete attraverso una famosa piattaforma di crowdfunding si rivela un potentissimo strumento di marketing: donando appena 1 dollaro diventi parte di un sogno e anche di un movimento, è la promessa. I blog tecnologici di tutto il mondo prendono la sfida di Keepod molto sul serio: non è un “miracolo” aver messo un sistema operativo in una chiavetta Usb, è una idea geniale averci messo anche documenti, applicazioni e aver reso tutto facile e economico con un obiettivo che può cambiare il destino di tante persone. La campagna doveva chiudersi il 14 febbraio ma vista la grande eco è stata prorogata fino al 1 marzo: subito dopo inizia la missione in Kenya. La prima di una serie, dicono. «Stiamo cambiando il paradigma dei computer» è il loro slogan. Sarebbe bello se ci riuscissero davvero.

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