by Sergio Segio | 9 Febbraio 2014 7:39
TORINO — Il 3 febbraio, parlando a una radio di Detroit, aveva dichiarato: «Finita questa intervista vado a Boston e New York a raccogliere fondi». Due giorni dopo, Sergio Marchionne aveva già raccolto i 5 miliardi di dollari necessari a pagare la quota acquistata da Veba per salire al cento per cento di Chrysler. L’episodio dimostra quanto sia decisiva oggi la figura dell’amministratore delegato nella costruzione di Fca, la nuova Fiat. Tanto che è difficile immaginare la società senza Sergio Marchionne in ruoli operativi. Ma che cosa accadrebbe se l’ad del Lingotto decidesse un giorno di tenere le azioni che ha ricevuto in questi anni come stock option e stock grant e diventare azionista? Potrebbe salire fino al secondo posto tra i soci, sia pure a notevole distanza dagli Agnelli. Anche se oggi sarebbe “solo” terzo. Chi gli ha parlato in questi mesi racconta che «di fronte a questa ipotesi la sua reazione è una risata». Eppure è stato proprio Marchionne, a Detroit, a spiegare che «stiamo lavorando per preparare adeguatamente la mia successione, qualsiasi sia il momento in cui avverrà», non prima del 2017.
Quale sarebbe dunque il peso del Marchionne azionista? L’ad del Lingotto riceverà, entro il febbraio 2015, 7 milioni di stock grant, azioni gratuite che gli vengono consegnate in tre tranche uguali. La prima l’ha ottenuta lo scorso anno, la seconda arriverà tra una settimana, il 22 febbraio, e la terza tra un anno. Le azioni Fiat (che nei prossimi mesi si trasformeranno in azioni Fca) sono poco più di 1 miliardo e 250 milioni. Oltre ai 7 milioni che arrivano a rate, il manager già possiede 3 milioni di azioni. Altri 16,9 milioni sono azioni che Marchionne potrebbe avere esercitando i diritti garantiti dalle stock option ottenute in base ai piani di incentivazione del 2004 e del 2006. In questo caso si tratta di diritti che per essere esercitati hanno bisogno di particolari condizioni: le stock option del 2004, che scadono nel gennaio 2016, possono essere trasformate in azioni (oltre 10 milioni) se al momento della trasformazione il valore del titolo Fiat non supera i 6,583 euro. Le stock option del 2006, che scadono a novembre di quest’anno, diventano azioni (6,25 milioni) solo se al momento della trasformazione il valore del titolo è inferiore ai 13,37 euro. Oggi il titolo vale 7,3 euro e per questo motivo se, ipoteticamente, l’ad decidesse di trasformare le stock option in azioni, otterrebbe solo quelle garantite dal piano del 2006. Se invece nel prossimo futuro si verificassero le condizioni per esercitare tutti i diritti in suo possesso, Marchionne otterrebbe dalle stock option 16,9 milioni di titoli Fiat.
Così, sommando le azioni oggi possedute (3 milioni), quelle che otterrà entro il febbraio 2015 (7 milioni) e quelle che otterrebbe dalla trasformazione delle stock option, il manager potrebbe contare su un pacchetto di circa 27 milioni di azioni. Che scenderebbero a 21 nel caso in cui decidesse di pagare con la vendita di titoli le tasse sull’acquisto (com’è accaduto nel 2012). Con 21 milioni di azioni in portafoglio, Marchionne avrebbe l’1,7 per cento della società che salirebbe sopra il 2 (al 2,2) se decidesse di tenere tutti i 27 milioni pagando le tasse in altro modo. E con il 2 per cento di Fiat, Marchionne sarebbe oggi il terzo azionista dopo Exor (30,1
per cento) e a poca distanza dalla società di investimento scozzese Baillie and Gifford che detiene il 2,6 per cento. Per ora solo un’ipotesi: oggi risulta che l’ad voglia fermamente continuare a svolgere il mestiere che fa. Ma in futuro?
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