I Paesi emergenti fanno paura giù le Borse, Milano la peggiore

by Sergio Segio | 4 Febbraio 2014 9:04

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 NEW YORK — È lunedì nero: botto pesante a Wall Street, dove l’indice Dow Jones perde 326 punti e scende ai minimi da tre mesi (Dow -2,06% e Nasdaq -2,61%).
Un rallentamento nell’attività industriale americana. Le incertezze sulla salute delle banche europee. L’interminabile discesa agli inferi delle valute emergenti. Ecco la triplice combinazione che ieri ha affondato le Borse di tutto il mondo. Alcune, come Tokyo, sono ormai tecnicamente in una fase di “correzione”, con perdite del 10%.
La giornata è cominciata con le notizie negative sugli ex-emergenti. Il più grosso di tutti, la Cina, pur in vacanza per il Capodanno lunare ha confermato una frenata nel settore manifatturiero a gennaio. Più in generale i mercati sono rimasti sotto shock per l’impotenza delle banche centrali nei paesi emergenti, dove una brutale stretta monetaria orchestrata fra Turchia, India, Argentina, non ha arginato le fughe di capitali. Quando il fuso orario ha fatto aprire le Borse europee, lì si è aggiunta un’altra preoccupazione. La Bce deve difendere la sua credibilità sui prossimi stress test, gli esami ai bilanci delle banche per verificarne la solidità e la tenuta in caso di nuove crisi. I mercati non sanno se augurarsi che la Bce mantenga la sua parola e faccia test molto severi, a rischio che si scoprano più istituti disastrati. Ieri diversi risultati del settore bancario hanno confermato la sua fragilità, dal Lloyds Banking Group inglese alla Julius Baer svizzera. E Piazza Affari è la maglia nera tra le europee.
Infine quando è arrivata l’apertura di Wall Street, l’orizzonte si è oscurato anche qui. Gli indici di acquisto dei manager industriali scesi a 51,3 contro 56,5 a dicembre ha rivelato che a gennaio il settore manifatturiero americano ha ridotto sia la produzione che gli ordini. Finora l’unica certezza positiva a cui si aggrappavano gli investitori, era la solidità della crescita americana (confermata la scorsa settimana dal +3,2% del Pil Usa nell’ultimo trimestre 2013). Se venisse meno anche la locomotiva Usa il quadro per il 2014 si farebbe fosco. A questo punto diventa ancora più ansiosa l’attesa per il dato chiave di venerdì, sull’occupazione. La maggior parte degli esperti una creazione di 189.000 posti di lavoro aggiuntivi, un risultato meno brillante sarebbe accolto male dai mercati. Come non bastasse, torna il tormentone politico del tetto del debito federale, con l’appello lanciato dal segretario al Tesoro Jack Lew per il Congresso alzi con urgenza quel limite.
Improvvisamente tornano in auge gli investimenti-rifugio, dai titoli del Tesoro all’oro. E’ una conseguenza dell’avversione al rischio, che sale in tempi di turbolenze e quindi allontana gli investitori dalle azioni. L’elemento scatenante, la vera novità degli ultimi mesi, resta comunque la battuta d’arresto in quella che era “la storia del secolo” e cioè il boom degli emergenti. E’ su quel fronte, più che in America o in Europa, che le incognite e i pericoli si stanno accumulando. Ancora non è chiaro quanto sia profonda la crisi, e dove si possa fermare il contagio. Un conto sarebbe l’ennesimo default argentino, o un tracollo di Thailandia e Ucraina, ben altro sarebbe un vero stop alla crescita cinese. Nell’attesa che l’orizzonte si schiarisca molti investitori americani si preparano all’eventualità di una correzione di Borsa del 10%: se Wall Street dovesse seguire l’esempio di Tokyo, i ribassi concatenatisi dall’inizio del 2014 (pari al 5%) sono solo a metà strada rispetto alla caduta complessiva.

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