by Sergio Segio | 26 Gennaio 2014 18:13
KIEV ASSEDIATO nel suo palazzo, ormai circondato da una folla sempre più armata e decisa a tutto, il presidente Yanukovich ha fatto una proposta che sembrava una resa: offriva ai leader dell’opposizione di guidare un nuovo governo, annunciava il ritiro delle recenti severissime misure anti dissenso, e si offriva perfino di modificare la Costituzione, riducendo i suoi stessi spropositati poteri e ritornando così alla Carta liberale della mitica Rivoluzione arancione del 2004.
Ma le cose si sono ormai spinte troppo avanti. Tra le barricate fatte di ghiaccio e di autobus carbonizzati di via Grushevskogo, mentre i tre meditavano sull’offerta finora impensabile, i militanti anticipavano a gran voce il “no” che sarebbe arrivato più tardi, cantando slogan di guerra e minacciando un assalto definitivo al palazzo. «Non ci basta», ha dichiarato infine Vitalj Klitchko, l’ex pugile campione del mondo, portavoce della cosiddetta trojka della Majdan, scatenando applausi e cori di guerra della folla. «Si continua a protestare fino alle dimissioni di Janukovich e a nuove elezioni».
La lotta continua dunque, e sarà dura, mentre cresce il bollettino delle vittime e la piazza si prepara a una lunga battaglia corpo a corpo. Qualcuno, sull’onda dell’entusiasmo ha già portato di fronte alla presidenza una rudimentale catapulta fatta in casa dopo averla provata per tutta la notte lungo il centralissimo viale Kreshatyk: lancia fino a cento metri di distanza mattoncini- proiettile già divelti a migliaia dal selciato. E un uomo mite come l’ex ministro della Difesa, Anatolj Gritsenko, ora all’opposizione, chiede a tutti i cittadini di Kiev di «portare le proprie armi in piazza». E assicura: «Anch’io vado in giro solo con la mia pistola».
Del resto, le offerte concilianti di Yanukovich sembravano sospette a molti. Soprattutto se confrontate con i comportamenti delle altre autorità. L’odiato ministro degli Interni Vitalj Zakharchenko invita «i cittadini per bene che aderiscono alla protesta» ad abbandonare la piazza «ormai in mano agli estremisti violenti e a rifugiarsi in un luogo sicuro». I suoi uomini più pericolosi, i famigerati Berkut delle forze speciali anti sommossa, non vedono l’ora di scatenarsi dopo due mesi di azioni sporadiche e semi clandestine con l’ordine tassativo di «non abbandonarsi a gesti eclatanti ». Fino ad ora si sono effettuate solo «brutalità nascoste», rapimenti di oppositori, pestaggi isolati, forse addirittura omicidi mascherati con armi non in dotazione alle forze dell’ordine.
Ma tra gli agenti e le formazioni paramilitari che ormai gestiscono la piazza è guerra aperta. Ieri notte un poliziotto è stato seguito, aggredito e ucciso fin sulla porta del suo dormitorio dall’altra parte della città. Altri tre agenti sono stati rapiti da una folla di giovani in passamontagna. Uno accoltellato e abbandonato in terra, gli altri due picchiati a dovere e rilasciati solo dopo diverse ore di sequestro, forse su intercessione dell’ala più moderata e “politica” della protesta.
Mantenere la calma, controllare gli estremisti, evitare pericolose provocazioni, è la sfida più difficile per i tre rappresentanti legittimi dell’opposizione. Le truppe paramilitari legate a gruppi dell’estrema destra, neonazista e xenofoba, sono ormai le vere padrone della piazza. Tra le tendopoli adesso circolano plotoni di giovani con l’elmetto dell’esercito e spranghe di ferro, allineati in fila per due, e comandati da misteriosi istruttori in giubbotto mimetico e occhiali da sole. Si esercitano tra bandiere e bivacchi, agitando le spranghe, simulando complesse manovre a testuggine, al ritmo di urla perentorie: «Alzate quelle braccia, e colpite duro».
Anche per questo i tre hanno finito per rifiutare la proposta di Yanukovich. Avrebbero perso ogni autorevolezza nei confronti di questa ingombrante ala oltranzista che dà sempre l’impressione di voler procedere autonomamente. Ieri, per esempio, hanno provato ad occupare il Dipartimento dell’Energia e si sono fermati solo davanti al ministro che li implorava: «Fermatevi o rischiamo di paralizzare tutto il Paese». Il risultato è che le centrali nucleari ucraine (quasi tutte “gemelle” di Chernobyl) sono adesso circondate da truppe in stato di massima allerta per scongiurare attacchi che potrebbero scatenare catastrofi di ogni genere.
In questo caos, il presidente aveva tentato il colpo di scena offrendo direttamente ad Arsenij Yatsenjuk, ex ministro dell’Eco-nomia e leader del partito di Yiulia Tymoshenko, di guidare un nuovo governo, sacrificando senza remore l’attuale premier Mykola Azarov. E all’altro leader della rivolta Klitchko, di diventare vice premier con una delega speciale per i diritti umani, che sembrava una sorta di garanzia contro future ritorsioni giudiziarie.
Yanukovich è in grande difficoltà. L’alleato Putin non gradisce «la gestione dilettantistica della rivolta». Il suo partito è diviso, e molti alti dirigenti starebbero già mandando le famiglie all’estero per ogni evenienza. Inoltre, ieri sera, il suo più grande finanziatore, l’uomo più ricco diUcraina, Rinat Akhmetov, noto al mondo come presidente della squadra di calcio Shaktar Donetsk, lo ha praticamente mollato dichiarando: «Sarebbe una follia, reagire con la forza. Il presidente deve trattare». Un consiglio che sembra un ordine.
L’ennesimo rifiuto potrebbe costringere Yanukovich a cedere ancora ulteriormente. Ma per liberare la piazza senza l’uso della forza, le dimissioni sono ormai l’ultima possibilità che gli resta. I leader della trojka non possono accettare alcun compromesso. Sulle barricate della Majdan, dove prima campeggiavano gli slogan sui diritti umani e la prosperità che un’adesione alla Ue avrebbe garantito, c’è un solo gigantesco striscione con una scritta che esprime forse l’ideologia dei nuovi guardiani della piazza. Si potrebbe interpretare in vari modi ma c’è una sola possibile traduzione letterale: «Ci siamo rotti il c…»
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