by Sergio Segio | 19 Gennaio 2014 8:47
Forse: un residuo di cautela è obbligato, perché la sola idea che Renzi e Silvio Berlusconi si siano accordati può accentuare di rimbalzo la sollevazione dei partiti minori, additati esplicitamente con i loro «ricatti» come vittime sacrificali del nuovo sistema; e perché in Parlamento il segretario del Pd non controlla i gruppi come vorrebbe. Domani pomeriggio si capirà meglio. Renzi presenterà alla Direzione la sua proposta ufficiale, circondato dal gelo della sinistra interna.
Il leader dei Democratici parla di «profonda sintonia» con Forza Italia, che si estende anche all’abolizione di fatto del Senato, destinato a diventare non elettivo. La preoccupazione di Renzi, però, non è tanto per lo scontento del proprio partito di fronte a parole di questo tenore. Il suo rovello sono le vere intenzioni berlusconiane. Il Cavaliere voleva fortemente il colloquio nella sede del Pd, per dimostrare che è ancora vivo politicamente e gettare lo scompiglio nelle file della sinistra. Bisognerà vedere se è altrettanto determinato sulle riforme, sulle quali Renzi sta giocando la propria credibilità.
La prima reazione berlusconiana tende a ridurre questi timori. E le critiche al governo e la volontà di ridare «al più presto» voce agli elettori farebbero pensare alle urne. Ma la manovra appare meno banale. A legare i due leader è la voglia di «rafforzare i partiti maggiori» e di tagliare le unghie agli altri, alcuni dei quali sono i perni dell’alleanza guidata da Enrico Letta. Il patto, dunque, sembra quello di commissariare palazzo Chigi con una «larga intesa istituzionale» alternativa a quella di governo; recuperando un asse con Berlusconi a scapito degli scissionisti di Alfano; e lasciando galleggiare l’attuale coalizione in attesa di trarne le conseguenze.
Renzi deve evitare di apparire il picconatore di palazzo Chigi. Ma non gli sarà facile coinvolgere i piccoli in una riforma concordata col capo di una delle opposizioni; anzi, di quella FI dalla quale il Nuovo centrodestra si è separato appena un mese fa. Insomma, lo sfondo sta cambiando anche se non è chiaro quello che succederà di qui al 27 gennaio, quando la proposta approderà nell’aula del Parlamento. Se il vero pomo della discordia è il tipo di riforma, la prospettiva di consegnare a Renzi il potere di formare le liste alle prossime elezioni spaventa la nomenklatura di partito: anche perché la maggior parte verrebbe sostituita. E si arriva alla terza incognita: un Berlusconi che finora non ha mai fatto accordi con la sinistra.
Ora sembra essersi convinto ad accettarne uno, vedendone i vantaggi politici. Ma se l’operazione riesce,sarà Renzi il primo a essere consacrato leader. Il suo azzardo porterebbe ad approvare una riforma elettorale che per anni i partiti hanno mancato. Le conseguenze sulla durata del governo vanno valutate su questo sfondo, e sul trauma di un Pd poco avvezzo ad un segretario sbrigativo e spiazzante. Il premier Letta commenta il colloquio dicendo che va «nella giusta direzione», perché occorre tenere insieme la maggioranza «con le maggiori forze d’opposizione». Ma i suoi alleati si mostrano guardinghi per l’esito del patto abbozzato nella sede del Pd. E si preparano ad una trattativa che può portare al tutti insieme o alla rottura.
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