Via le tutele ambientali e i divieti di importazione? In nome degli investimenti

by Sergio Segio | 24 Gennaio 2014 9:55

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Secondo la Com­mis­sione Euro­pea, ma anche i cin­guet­tii di Enrico Letta dopo l’incontro con Barack Obama, il Tran­sa­tlan­tic Trade and Invest­ment Part­ner­ship (Ttip), trat­tato che vor­rebbe creare tra Usa e Ue la più con­si­stente area di libero scam­bio mai ten­tata nel pia­neta, sta alla crisi come l’aspirina ai males­seri di sta­gione. Se ne sa poco, per­ché il testo è segreto anche per il Par­la­mento Euro­peo e il Con­gresso sta­tu­ni­tense e nego­ziato da un pugno di esperti, tra la Com­mis­sione Ue e il mini­stero del Com­mer­cio Usa. Eppure c’è chi ne parla come una delle poche rispo­ste alla caduta libera dell’economia glo­bale. Due milioni di posti di lavoro in più in Ue con le libe­ra­liz­za­zioni, 119 miliardi di euro l’anno di Pil per l’Europa e 130 miliardi di dol­lari per gli Stati Uniti, cioè 545 euro in più l’anno per ogni fami­glia di quat­tro per­sone in Europa, e 901 dol­lari negli Stati Uniti. Sono le rosee pre­vi­sioni dif­fuse dal Com­mis­sa­rio al com­mer­cio Karel De Gucht nel luglio scorso, quando i nego­ziati sono par­titi formalmente.

Pec­cato che que­sto si otter­rebbe, nella migliore delle ipo­tesi, solo entro il 2027. E che lo stu­dio citato si limita a quan­ti­fi­care gli effetti diretti del Ttip, ma nes­suno degli effetti col­la­te­rali. Le fami­glie euro­pee potreb­bero, infatti, rispar­miare acqui­stando più pollo a buon mer­cato espor­tato dagli Usa, ma non sap­piamo quanti loro mem­bri per­de­reb­bero il lavoro per la chiu­sura degli alle­va­menti euro­pei di migliore qua­lità. Quel pollo, se di qua­lità peg­giore rispetto a quanto pre­vi­sto attual­mente dai rego­la­menti ali­men­tari euro­pei, potrebbe farli amma­lare e pesare di più sui ser­vizi sani­tari pub­blici e sulle tasche di tutti. Il Ttip, infatti, punta ad abbat­tere non tanto le tasse doga­nali tra Usa e Ue — già media­mente appiat­tite intorno al 4% — ma le cosid­dette Bar­riere Non Tarif­fa­rie, cioè divieti di impor­ta­zione e tasse spe­ci­fi­che che, anche gra­zie alle grandi bat­ta­glie con­tro la carne agli ormoni, il pollo lavato con il cloro, gli fta­lati nei gio­cat­toli, i resi­dui di pesti­cidi nel cibo, gli Ogm e così via, tiene lon­tani dal nostro mer­cato pro­dotti non sicuri, tos­sici. Que­ste valu­ta­zioni, infine, non ten­gono conto di quanto ci coste­reb­bero, in ter­mini di diritti e di qua­lità sociale e ambien­tale, la libe­ra­liz­za­zione pre­vi­sta dei ser­vizi essen­ziali — prin­ci­pal­mente acqua, ener­gia e tra­sporti — di quelli finan­ziari, la stretta sul finan­zia­mento delle imprese a par­te­ci­pa­zione sta­tale e sulla pro­prietà intellettuale.

I rego­la­menti

La Com­mis­sione li ha recen­te­mente defi­niti «gene­ra­tori di pro­blemi», ma rego­la­menti e stan­dard di qua­lità euro­pei sono spesso il risul­tato di anni di buone bat­ta­glie. Eppure il Ttip con­tiene un «Capi­tolo oriz­zon­tale per la coe­renza dei rego­la­menti» che pre­vede l’istituzione del Regu­la­tory Coo­pe­ra­tion Coun­cil: un organo dove esperti della Com­mis­sione e del mini­stero Usa com­pe­tente valu­te­reb­bero l’impatto com­mer­ciale di ogni mar­chio, regola, eti­chetta che si volesse intro­durre a livello nazio­nale, fede­rale o euro­peo. A sua discre­zione sareb­bero ascol­tati imprese, sin­da­cati e società civile. A sua discre­zione sarebbe valu­tato il rap­porto costi — bene­fici di ogni misura e il livello di con­ci­lia­zione e uni­for­mità tra Usa e Ue da rag­giun­gere, e quindi la loro effet­tiva introduzione.

Ricor­diamo che nel 1988 l’Ue ha vie­tato l’importazione di carni bovine trat­tate con certi ormoni della cre­scita can­ce­ro­geni. Per que­sto era stata obbli­gata a pagare a Usa e Canada dal Tri­bu­nale delle dispute dell’Organizzazione mon­diale del com­mer­cio (Wto) oltre 250 milioni di dol­lari l’anno di san­zioni com­mer­ciali nono­stante le evi­denze scien­ti­fi­che e le tante vit­time. Solo nel 2013 la ritor­sione è finita quando l’Europa si è impe­gnata ad acqui­stare dai due con­cor­renti carne di alta qua­lità fino a 48.200 ton­nel­late l’anno, alla fac­cia del libero com­mer­cio. Sarà una coin­ci­denza, ma in un docu­mento con­giunto dell’ottobre 2012 Busi­nes­sEu­rope e US Cham­ber of Com­merce, le due più potenti lobby d’impresa delle due sponde dell’oceano, ave­vano chie­sto ai pro­pri governi pro­prio di avviare una «coo­pe­ra­zione sui mec­ca­ni­smi di rego­la­zione», che con­sen­tisse alle imprese di con­tri­buire alla loro stessa stesura.

Gli inve­sti­menti pri­vati protetti

Con una certa bal­danza, il 14 gen­naio scorso a Bru­xel­les Pascal Ker­neis dell’European Ser­vice Forum, la più potente lobby dei for­ni­tori euro­pei di ser­vizi, nel dia­logo della Com­mis­sione euro­pea con la società civile ha soste­nuto che il Ttip non avrebbe alcun senso senza l’introduzione di un Mec­ca­ni­smo di riso­lu­zione dei con­ten­ziosi tra inve­sti­tori e Stati, (Investor-State Dispute Set­tle­ment — Isds). Esso per­met­te­rebbe alle imprese di far con­dan­nare quei paesi che appro­vas­sero leggi dan­nose per i pro­pri inve­sti­menti pre­senti e futuri. Oggi sono costrette a pre­sen­tarsi ai tri­bu­nali nazio­nali, e sot­to­stare alle regole di cia­scun paese, e in Europa, in alcuni casi, alla Corte euro­pea di giu­sti­zia. Come evi­tare le con­nesse sec­ca­ture? Creare un orga­ni­smo che, come il Dispute Set­tle­ment Body della Wto per il com­mer­cio, giu­di­chi tenendo in conto le sole leggi e con­tratti rela­tivi agli inve­sti­menti. Pren­diamo il caso del Que­bec, che nel mag­gio 2013 ha vie­tato l’estrazione di gas e petro­lio dal frac­king, cioè dalla pol­ve­riz­za­zione per esplo­sione del sot­to­suolo, peri­co­losa per l’uomo e l’ambiente. La com­pa­gnia sta­tu­ni­tense Lone Pine, che aveva fir­mato col governo cana­dese una con­ces­sione per l’estrazione, ha chie­sto un risar­ci­mento da 250 milioni di dol­lari. Se negli accordi tra Usa e Canada fosse stato intro­dotto un Isds, gli avrebbe dato sicu­ra­mente ragione per­ché gli inte­ressi gene­rali non avreb­bero avuto alcun peso. E arri­viamo, così, all’ultimo punto.

Diritti ver­sus interessi  

Tom Jen­kins della Con­fe­de­ra­zione sin­da­cale euro­pea (Etuc), nell’incontro con la Com­mis­sione del 14 gen­naio scorso, ha ricor­dato che gli Stati Uniti non hanno rati­fi­cato diverse con­ven­zioni e impe­gni inter­na­zio­nali Ilo e Onu in mate­ria di diritti del lavoro, diritti umani e ambiente. Que­sto rende il loro costo del lavoro più basso e il com­por­ta­mento delle imprese nazio­nali più disin­volto e com­pe­ti­tivo, in ter­mini eco­no­mici, anche se più irre­spon­sa­bile. A sor­ve­gliare gli impatti ambien­tali e sociali del Ttip, ha ras­si­cu­rato la Com­mis­sione, come nei più recenti accordi di libe­ra­liz­za­zione siglati dall’Ue, ci sarà un appo­sito capi­tolo dedi­cato allo svi­luppo soste­ni­bile che met­terà in piedi un mec­ca­ni­smo di moni­to­rag­gio spe­ci­fico, par­te­ci­pato da sin­da­cati e società civile d’ambo le regioni. Funzionerà?

Quello in vigore da meno di un anno tra Ue e Corea del sud, paese che come gli Usa si è sot­tratto a gran parte delle con­ven­zioni Ilo e Onu ed è molto più facile da cri­ti­care, fa acqua da tutte le parti. Imprese, sin­da­cati e Ong che fanno parte dell’analogo organo creato per moni­to­rare la soste­ni­bi­lità sociale e ambien­tale del trat­tato Ue-Korea hanno pro­te­stato con la Com­mis­sione per­ché avvii una pro­ce­dura di infra­zione con­tro la Korea per com­por­ta­mento anti­sin­da­cale, e ancora aspet­tano una rispo­sta. È plau­si­bile, con que­ste pre­messe, che la Com­mis­sione fac­cia la voce grossa con gli Stati uniti per i diritti del lavoro e per l’ambiente? A marzo, quando i tec­nici Usa e Ue s’incontreranno ancora a Bru­xel­les per far avan­zare il nego­ziato, lo capi­remo più chiaramente.

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