Via alle Poste sul mercato, azioni ai dipendenti
ROMA — Tramonta definitivamente la versione spezzatino per la privatizzazione di Poste italiane. Che andrà intera sul mercato con una quota massima del 40% entro l’anno, di cui il 5% riservato in modo gratuito ai 140 mila dipendenti. Il gruppo guidato da Massimo Sarmi si piazza in pole position nella cessione di quote di minoranza che potrebbe avvenire anche in tempi più ristretti, a partire da luglio e secondo le opportunità del mercato. Che naturalmente ha il suo peso: al momento le condizioni sono incoraggianti, con l’indice Ftse Mib della Borsa di Milano tornato ieri (+1,60%) sopra quota 20 mila punti dopo due anni e mezzo. Dietro ci sono le stime più ottimistiche della Banca mondiale sulla crescita, così come la decisione della Bce sugli stress test (le banche non dovranno adeguare il portafoglio di debito sovrano ai valori di mercato). La speranza a Roma è che le attuali condizioni favorevoli del mercato persistano in futuro, aiutando così il collocamento delle Poste.
Il comitato permanente per le privatizzazioni, costituito dal governo alla fine di novembre (presieduto dal direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via e composto da Angelo Provasoli, Piergaetano Marchetti, Anna Maria Artoni e Massimo Capuano) alla sua seconda riunione ieri ha sostanzialmente dato il via libera confermando la priorità per le Poste. Sarmi è stato convocato e per circa un’ora ha spiegato la sua road map per valorizzare al meglio gli asset di Poste. Il comitato ha poi analizzato gli altri dossier per la cessione delle quote detenute direttamente o indirettamente dal Tesoro in Eni, Enav e Sace. Il progetto è quello di incassare entro l’anno 12 miliardi di euro.
Il premier Enrico Letta, appena sbarcato dal suo viaggio in Messico, ha voluto salutare i componenti del comitato a testimonianza di voler seguire questa importante partita in prima persona. Alle Poste ieri si respirava un’aria di soddisfazione. Dopo mesi di rumor sulla possibilità che emergesse la soluzione spezzatino (anche Letta in un primo tempo era d’accordo) alla fine ha prevalso quella aziendale, sostenuta da Sarmi e dagli stessi sindacati.
«Siamo pronti per partire, basta schiacciare un bottone», scherzava un manager anche se di lavoro preparatorio ce n’è ancora molto. Soprattutto per valorizzare al massimo un gruppo che nel 2010 dalla stessa Depositi e prestiti e da Deutsche Bank era stato valutato in un range tra 10 e 12 miliardi di euro. Ora si tratta di accelerare per la parte regolatoria e per la definizione del contratto di programma (allungandolo da 3 a 5 anni)sul quale Bruxelles da due anni ha acceso i riflettori con possibile avvio di una procedura di infrazione per ritardi. Da questi due passaggi, che potrebbero escludere o limitare prestazioni costose e favorire quelle più convenienti, potrebbe scaturire un maggior valore del gruppo che – ricordava Sarmi ai suoi dirigenti in questi giorni – è l’unica azienda italiana a indebitamento zero. Se la due diligence dovesse far lievitare la quotazione delle intere Poste a 13-14 miliardi di euro, per il Tesoro si tratta di incassare una somma tra 4,5 e 5 miliardi al netto del 5% riservato ai dipendenti.
Il coinvolgimento dei lavoratori viene considerato dal governo un passaggio importante e sperimentale. Si ispira al modello tedesco di compartecipazione e segue l’esperienza inglese di Royal Mail privatizzata pochi giorni fa con una quota del 10% gratuita ai dipendenti. I sindacati sono già d’accordo anche se mancano ancora parecchi tasselli per la definizione della governance. Secondo lo schema suggerito dal comitato, metà della quota ceduta dovrebbe andare ad investitori istituzionali e il resto direttamente sul mercato.
La seconda priorità del governo è la cessione di parte delle azioni detenute in Eni, controllata dal Tesoro (4,34%) in tandem con la Cdp (25,76%). Lo schema annunciato dal governo prevede che il cane a sei zampe, riacquistando e poi annullando il 10% delle azioni sul mercato, faccia salire al 33% il peso della quota pubblica. A quel punto il Tesoro potrà vendere il 3% senza che lo Stato scenda sotto la soglia strategica del 30%. Per quanto riguardo la Sace, Cdp entro la prossima settimana sceglierà gli advisor per decidere cosa fare. Cassa depositi e prestiti punta a cedere anche una quota non di controllo di Cdp Reti, la società che detiene il 30% più un’azione di Snam e nella quale dovrebbe confluire il 29,9% di Terna.
Roberto Bagnoli
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