Una terza via per la riforma

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Esi esclude a priori l’ipotesi che possa essere assolto. Non giriamoci intorno: la principale ragione dell’impopolarità del famigerato Porcellum era che quel meccanismo elettorale consegnava ai partiti il potere assoluto di compilare le liste non dei candidati, ma dei membri del Parlamento, con un sistema che aveva spogliato gli elettori del potere di votare per il loro deputato (e per il loro senatore). E infatti, alla domanda su quale sia la novità più attesa dalla prossima riforma elettorale, all’ultimo sondaggio Ipsos per “Ballarò” la risposta di gran lunga più votata – 47 per cento – è stata “scegliere i candidati con le preferenze”.
Eppure, a meno di non voler credere che ci troviamo di fronte a un pentimento generale e collettivo, è davvero difficile pensare che gli italiani – dopo aver bocciato con 27 milioni di voti, al referendum del 9 giugno 1991, le preferenze che avvelenavano le campagne elettorali della Prima Repubblica – vogliano tornare a quel sistema alimentato dal clientelismo e dalla corruzione. È assai probabile che quella risposta esprimesse più il rifiuto delle liste bloccate che non l’indicazione di una soluzione tecnica. Perché non è affatto vero che l’unica alternativa agli elenchi dei nominati siano le vecchie preferenze. L’alternativa vera, quella che funziona benissimo in Gran Bretagna, in Francia, negli Stati Uniti e in molti altri paesi si chiama collegio uninominale maggioritario e ha il grande pregio di spingere i partiti a selezionare i migliori candidati, perché il rifiuto del candidato sbagliato si trasforma inesorabilmente in un voto perduto.
Ne ha anche altri, di pregi. Premia chi ha la stima della maggioranza degli elettori, non chi ha raccolto in modo clientelare il consenso di una consolidata minoranza. Evita che i candidati pensino soprattutto a superare i concorrenti dello stesso partito, nella caccia alle preferenze, invece che a battere il partito avversario. E stabilisce un rapporto forte e diretto tra l’eletto e i cittadini del suo collegio, perché senza i loro voti lui non sarà confermato in Parlamento.
Il professor Roberto D’Alimonte, nella sua intervista a questo giornale, ha spiegato chiaramente i due motivi per cui Berlusconi si è opposto al collegio uninominale. Innanzitutto perché con il Mattarellum, quando l’elettore poteva votare sia per il candidato che per il partito, il simbolo di Forza Italia raccoglieva un milione e mezzo di voti in più, rispetto alla somma dei consensi nei collegi uninominali. E poi perché lui vuole essere sicuro di poter garantire l’elezione a un certo numero di suoi uomini, senza rischiare che le oscillazioni dei consensi locali decidano chi passa e chi no. Questa è la convinzione di Berlusconi (e forse anche di Denis Verdini, che in questa delicatissima trattativa ha rivelato un’insospettata padronanza dei sistemi elettorali) e con essa Matteo Renzi ha dovuto fare i conti, nella trattativa-lampo con Forza Italia.
Eppure, prima di chiudere l’accordo con Berlusconi, il segretario del Pd aveva fissato tre paletti per la nuova legge. Primo, doveva mantenere il bipolarismo. Secondo, doveva dare al Paese un vincitore la sera stessa delle elezioni. Terzo, doveva riconsegnare all’elettore il potere di scegliere i parlamentari. I primi due obiettivi sono stati centrati in pieno, il terzo no. Ed è proprio sul terzo punto — il potere di scelta dell’elettore — che contro il progetto “Italicum” si è scatenato un fuoco di sbarramento che va dalla destra di Giorgia Meloni alla sinistra di Vendola, passando per Alfano e Casini e per la minoranza del Pd, alla quale si è aggiunta anche il presidente del Consiglio, Enrico Letta.
Sul tappeto ci sono anche altre delicate questioni che meritano di essere esaminate con pazienza e con attenzione, come la soglia di sbarramento e quella per accedere al premio di maggioranza, ma la questione delle liste bloccate sembra un rompicapo senza soluzione. Riusciranno Renzi e Berlusconi a mandare in porto l’Italicum ignorando questo fuoco di sbarramento e la stessa volontà popolare che affiora così chiaramente dai sondaggi? Forse ci riusciranno lo stesso. Ma se nascerà con questo peccato originale, l’Italicum nascerà male. E rischierà di diventare una vittoria di Pirro, per i suoi padri. Il successo di aver scritto in pochi giorni una riforma inseguita inutilmente da anni sarebbe oscurato dall’accusa di aver dato vita a un nuovo Parlamento di nominati.
Ma forse c’è ancora una via d’uscita. Si chiama collegio uninominale proporzionale. Non è il collegio uninominale maggioritario — che anche noi abbiamo conosciuto grazie al Mattarellum — dove viene eletto solo il più votato. È un altro sistema: ogni partito presenta un candidato in ciascun collegio, ma i seggi vengono assegnati in modo proporzionale sommando i voti ottenuti nell’intero territorio nazionale. Una volta distribuiti i seggi ai partiti, vengono scelti i candidati meglio piazzati sotto ciascun simbolo. Se al partito X toccano 50 seggi, si andrà a vedere quali sono i 50 collegi dove ha ottenuto il miglior risultato, e saranno eletti quei candidati. È un sistema già collaudato anche in Italia, come ricorderanno gli elettori che votavano prima del 1994, perché è così che veniva eletto il Senato fino ad allora. Così, certo, può capitare che un collegio elegga tre parlamentari, i più votati nei rispettivi partiti, e quello accanto non ne elegga nessuno (distorsione che nel vecchio Senato veniva corretta permettendo di candidarsi fino a tre collegi nella stessa regione) ma il rapporto tra la volontà popolare e l’elezione dei deputati è salvo, e non passa per le sabbie mobili delle preferenze. È un meccanismo semplice, del tutto compatibile con gli altri elementi dell’Italicum (premio di maggioranza, secondo turno eventuale e soglie di sbarramento) e offrirebbe anche il non trascurabile vantaggio di non richiedere una nuova geografia elettorale: basterebbe ripescare i confini dei vecchi collegi, per il Senato, e dividerli in due per la Camera.
Per Renzi, questa soluzione sarebbe certo di gran lunga migliore dei “listini bloccati”, sia pure ridotti a quattro o cinque nomi. E forse anche Berlusconi potrebbe accettarla, perché come ogni meccanismo proporzionale anche questo farebbe prevalere la campagna nazionale su quella locale.
Esiste dunque una terza via, se non si vuole restare prigionieri dell’alternativa del diavolo tra liste bloccate e voti di preferenza. Forse non sarebbe per nessuno la soluzione perfetta, ma di sicuro sarebbe un buon compromesso. Sempre che nelle poche ore che ancora restano ai partiti prima di cominciare a votare la nuova legge elettorale ci sia qualcuno che abbia ancora la voglia (e la forza) di riaprire la scatola chiusa della riforma.


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