Un prestito e addio esodati?
Ma, appunto, Giovannini ha precisato che non verranno modificati i requisiti di accesso alla pensione, cioè di fatto dovrebbero rimanere in vigore i limiti di età (molto alti) introdotti dal governo Monti: piuttosto, si forniranno i lavoratori (che però dovranno contare sul sostegno delle imprese e dello Stato) di una possibilità di uscita anticipata volontaria, aggiuntiva quindi rispetto alle regole attuali.
Ma quale strumento si utilizzerà in concreto? Si pensa a una sorta di prestito d’onore, sul modello di quello che si concede agli studenti, da rimborsare poi quando l’anziano comincerà a ricevere la pensione regolare (così come il ragazzo inizia a rifondere l’ente che lo ha finanziato, non appena ha il primo contratto di lavoro). Si parla di un importo pari a circa l’80% della retribuzione, e sarebbe in effetti l’uovo di Colombo, anche se il ministro per ora ci va cauto perché si rende conto che il progetto è irrealizzabile se non ci mettono del loro gli stessi lavoratori (già belli martoriati dalla crisi), le imprese (anch’esse mica troppo disponibili a sborsare fondi) e lo Stato.
«Stiamo lavorando sugli aspetti tecnici – ha spiegato ieri il ministro – Il procedimento è complesso. Può prevedere anche il contributo da parte delle aziende. L’idea è quella di avere una contribuzione da parte di tutti e tre i soggetti (lavoratore, impresa e Stato, ndr) ma ci deve essere robustezza finanziaria».
Al solito, come tutte le riforme ambiziose, c’è un problema di risorse: e in un Paese in cui si fa fatica a reperire pochi miliardi per tagli piuttosto inutili (e in molti casi non equi) come quello dell’Imu, certo il nodo non è da sottovalutare. Si rischia che sia la solita promessa non mantenuta, un annuncio fatto per puntellare un governo che, anche e soprattutto per altri motivi, si trova già in difficoltà e in bilico costante.
«Con il Tesoro – ha aggiunto poi Giovannini – stiamo lavorando per arrivare a una proposta robusta sul piano finanziario e giuridico da presentare alle parti sociali. Stiamo valutando come avere uno strumento flessibile in funzione delle condizioni soggettive del lavoratore, strumento che andrebbe incontro a persone e a imprese, come quelle di minori dimensioni, che oggi non possono utilizzare gli strumenti previsti».
E certo, in un momento di totale «caos» sul futuro degli ammortizzatori sociali, quando addirittura alcune ipotesi di riforme in campo parlano di cancellare la cassa integrazione (vedi il dibattito che ha investito il Jobs Act di Renzi), fa ovviamente piacere che si stia pensando a chi è sprovvisto oggi di tutele, ma forse consolerebbe di più sapere che il sistema attuale di sostegni al reddito (al netto ovviamente del reddito di cittadinanza, che è un capitolo a parte) non venisse cancellato, ma anzi esteso a tutti.
Dai sindacati, già parecchio critici sulla riforma Fornero, viene l’invito di «passare dalle parole ai fatti» (Cisl). La Cgil, in polemica con la posizione del ministro, si dice favorevole a una riforma più incisiva sulla legge Fornero, che cambi i limiti di età e introduca dei meccanismi di uscita flessibile. «Sono proprio le regole della riforma Fornero che vanno cambiate – dice la segretaria confederale Vera Lamonica – Per molti esodati il problema non è risolto, e sono moltissimi coloro che esodati lo stanno diventando. Bisogna introdurre un meccanismo di vera flessibilità che non sia penalizzante per i lavoratori».
«Bene che il governo ci stia lavorando, ma vogliamo vedere la proposta nel merito – dice il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), sostanzialmente d’accordo con la Cgil – Nonostante i 160 mila esodati già salvaguardati, il tema non può dirsi risolto. Per questo già dalla scorsa legislatura il Pd sostiene l’introduzione di un meccanismo flessibile di uscita».
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