Un colpo di stato consentito dall’inerzia
La propaganda dei distruttori della democrazia mediante lo svuotamento dei suoi fondamenti e dei suoi strumenti la aveva già occultata dietro il fumo di parole come «premio», «soglia», «stabilità», «governabilità» ecc. I falsari di professione della politologia assoldati dai capi dei comitati elettorali che hanno sostituito i partiti politici si sono buttati subito a spostare l’attenzione sui tre sistemi elettorali proposti da Renzi dichiarando che erano tutti coerenti con quanto aveva affermato la Corte, l’esatto contrario della verità.
L’attenzione dell’opinione pubblica è stata così attratta dalla proposta risultante dalla «profonda sintonia» tra Renzi e Berlusconi, ora all’esame della Camera dei deputati. Proposta che mira alla riviviscenza del Porcellum camuffato ma aggravato in funzione degli interessi dei due «sintonici». Nulla a che fare quindi con la pronunzia della Corte, nulla a che fare con la costituzionalità di un sistema elettorale.
È diventato quindi quanto mai necessario, è doveroso, informare, gridare la verità accertata dalla Corte. Lo avevamo detto, ripetuto cento volte. Ora è sancito in modo univoco dall’organo della massima garanzia costituzionale. È quindi provato che l’Italia ha subito in sette anni tre colpi di stato. Quelli che ha inferto il Porcellum le tre volte che è stato applicato per le elezioni del parlamento della Repubblica.
Ben si sa che in nome della continuità dello stato, l’efficacia delle sentenze dichiarative dell’illegittimità delle leggi decorre dal giorno successivo al deposito della sentenza della Corte costituzionale. Ma la decorrenza dell’efficacia non sana, non assolve, non attenua l’illiceità della norma dichiarata incostituzionale. L’illiceità resta, è indelebile e imprescrittibile. Condanna per l’avvenire ogni riviviscenza. È tale quella cui mira il sistema elettorale Berlusconi-Renzi. Se questo progetto sarà approvato il colpo di stato sarà reiterato tutte le volte che il corpo elettorale sarà chiamato a votare.
Perché ogni volta sarà vilipeso, truffato, ripudiato il principio fondante della nostra Costituzione, dello stato di diritto, della democrazia, della civiltà giuridica: il principio di eguaglianza. Contrariamente a quel che la Corte ha prescritto si negherà che il «principio costituzionale di eguaglianza del voto esige che l’esercizio dell’elettorato attivo avvenga in condizione di parità in quanto ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari dignità alla formazione degli organi elettivi …». Si negherà anche che il «… circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di uguaglianza del voto … esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi …». Invece che precluderle, si propone di riapprovare norme volte «al legittimo obiettivo di favorire stabili maggioranze parlamentari e quindi stabili governi …» ma che «producono … una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema della democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare e la volontà dei cittadini attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma della Costituzione».
Si rovescerà quindi l’affermazione della Corte secondo cui quello della stabilità è un obiettivo legittimo ma non è né un principio né un fondamento dello stato costituzionale. E che perciò non permette «una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare» che il Porcellum commetteva e l’accoppiata Renzi-Berlusconi vuole reintrodurre. Si vorrà continuare a coartare «la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in parlamento, che costituisce uno delle principali espressioni della sovranità popolare …».
La riproduzione testuale delle motivazioni salienti della sentenza della Corte costituzionale n.1 di quest’anno (presidente Silvestri, relatore e redattore Tesauro) è dovuta a incontestabili esigenze. Una è quella, peraltro duplice, di riferire quali sono le censure di incostituzionalità dichiarate, quali sono cioè le disposizioni normative che perdono ogni efficacia giuridica e che, per essere state giudicate illegittime, non sono riproducibili. Si è voluto così rispondere al dovere di informare esattamente del contenuto e della portata della sentenza. Di quel che una legge elettorale non deve contenere.
Da questa sentenza emerge però qualcos’altro e di più. Esplicita infatti l’oggetto e il contenuto del colpo di stato, come all’inizio ho chiamato il Porcellum. Una legge esemplare di quel tipo che imporrebbe il rifiuto di promulgazione da parte del presidente della Repubblica per violazione di un principio inviolabile della Costituzione e fondante della Repubblica. Rifiuto da opporre previa conferma parlamentare di tal tipo di legge rinviata alle camere dal presidente ai sensi dell’art. 74 della Costituzione, previo successivo ed eventuale ricorso alla Corte per carenza di potere promulgativo di leggi che travolgono i fondamenti dell’ordinamento costituzionale. L’inerzia del presidente allora in carica ha determinato l’effetto di tre legislature parlamentari elette con un sistema elettorale illegittimo. Un precedente che ha gettato l’Italia ai livelli più bassi della civiltà giuridica e politica. La Corte costituzionale con la prima sentenza di quest’anno ha provveduto a risollevarla. E, contraddicendo una celebrata dottrina, si è elevata, essa sì, a garante della Costituzione. Ma gli effetti devastanti già prodotti non potevano essere sanati. Non lo sono stati. Ne consegue un imperativo indefettibile: mai più.
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