Tre equivoci, un unico ricatto

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Come se avesse avanti decenni di tempo per far “ripar­tire il Paese”. Così pre­senta un indice assai pre­ten­zioso del suo Job­sAct: titolo anglo­fono, tutto attac­cato e con una esse in più del pre­vi­sto. Tu vuo’ fa’ l’americano?

Si ini­zia con «il Sistema»: dall’energia alla buro­cra­zia. Si passa alla crea­zione di «nuovi posti di lavoro»: saranno più di un milione, per sca­val­care la ven­ten­nale pro­pa­ganda ber­lu­sco­niana? Si arriva alle «regole». Una vera e pro­pria riforma di sistema, appunto, una serie di piani quin­quen­nali, se voles­simo sor­ri­dere; o pian­gere. E la dimen­sione tem­po­rale è forse l’aspetto più cri­tico di tutta l’impalcatura.

Per­ché pro­prio sulle «regole» si torna al dibat­tito ita­liano degli anni Novanta, al mas­simo aggior­nato a metà anni Zero. In quel tempo Pie­tro Ichino, Tito Boeri e Pie­tro Gari­baldi discet­ta­vano eru­di­ta­mente di con­tratto unico di inse­ri­mento a tempo inde­ter­mi­nato a tutele cre­scenti: ed è que­sta la for­mula ripresa da Renzi per porre fine alla pre­ca­riz­za­zione delle forme del lavoro.

Qui appa­iono subito tre grandi equivoci.

Quelle ricette erano inse­rite in un con­te­sto “pre-crisi”. Negli ultimi cin­que anni si sono persi milioni di posti di lavoro dif­fi­cil­mente recu­pe­ra­bili. Anche gli eco­no­mi­sti più otti­mi­sti dicono che l’auspicata, e certo non scon­tata, ripresa avverrà senza recu­pe­rare i posti di lavoro persi. Jobless Reco­very la chia­mano, cioè ripresa senza lavoro, altro che Job­sAct!

Si corre poi il serio rischio di eli­mi­nare non la pre­ca­rietà (come con­di­zione di lavoro), ma il pre­ca­riato (come lavo­ra­trici e lavo­ra­tori). Espe­ri­mento già riu­scito alla pre­ce­dente Riforma For­nero che ha ves­sato qual­siasi forma di lavoro inter­mit­tente, indi­pen­dente e auto­noma, costrin­gendo al nero o alla disoc­cu­pa­zione, ma non scal­fendo mini­ma­mente la pre­ca­rietà del lavoro e soprat­tutto dei red­diti e dei diritti delle per­sone. Non è un caso che l’ex mini­stra abbia salu­tato con favore l’iniziativa renziana.

Terzo equi­voco: si vuole ricon­durre tutte le forme di atti­vità e di lavoro sotto il mono­lite della subor­di­na­zione sala­riata. Pra­ti­ca­mente tor­nare al patto for­di­sta del Tren­ten­nio Glo­rioso. Roba da veri maghi del tele­tra­sporto, più che da riformisti.

Ma in gene­rale tutto l’impianto della pro­po­sta sem­bra sot­to­stare al ricatto del lavoro e della sua man­canza. L’assegno uni­ver­sale di disoc­cu­pa­zione è vin­co­lato al corso di for­ma­zione pro­fes­sio­nale da fre­quen­tare e al «non rifiu­tare più di una nuova pro­po­sta di lavoro». Fin­gendo di non sapere che la mag­gior parte dell’attuale for­ma­zione isti­tu­zio­na­liz­zata è molto red­di­ti­zia per gli enti for­ma­tori e poco utile per le per­sone che devono subirla. Men­tre nel secondo caso vi è una chiara vio­la­zione del para­me­tro di con­gruità dell’offerta lavo­ra­tiva rispetto al pro­filo del lavo­ra­tore: vin­colo sta­bi­lito anche in sede europea.

Poi­ché lo stesso Renzi si rende dispo­ni­bile a «sti­moli e rifles­sioni», accetti un primo con­si­glio di metodo. La con­di­zione di povertà e mise­ria in cui sono costrette le per­sone non aspetta. È il momento di infon­dere sicu­rezza e fidu­cia, indi­vi­duale e col­let­tiva. E que­sto può essere fatto solo intro­du­cendo garan­zie uni­ver­sali: sus­si­dio di disoc­cu­pa­zione, red­dito minimo garan­tito, sala­rio minimo ora­rio e giu­sto com­penso. Sarebbe un chiaro segnale di inve­sti­mento per miglio­rare l’esistenza delle per­sone e intro­durre un Wel­fare più equo. Una pic­cola e con­creta rivo­lu­zione per il Sistema Paese. Dalla quale ripartire.


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