Tra diplomazia e intelligence. Chi sono Browne e Ledeen I due consiglieri atlantici (e opposti) del sindaco
Browne ha 41 anni, è stato uno dei più stretti collaboratori di Tony Blair in Gran Bretagna e ora fa parte del più vivace think tank neo-progressista americano assieme a John Podesta, l’ex braccio destro di Bill Clinton recentemente ingaggiato da Barack Obama come consigliere.
Attraverso il filtro di Carrai, Browne ha introdotto Renzi a Blair, al fratello dell’attuale leader del partito Labour britannico David Miliband e a molti democratici americani.
Michael Ledeen invece ha 73 anni e ha lavorato nelle Amministrazioni di Ronald Reagan e di George W. Bush distinguendosi in entrambi i casi per le sue iniziative da freelance dell’intelligence. La prima è consistita nello scambio tra missili e ostaggi con l’Iran di Khomeini, un’operazione clandestina passata alla storia con il nome di Irangate. Una commissione di inchiesta parlamentare la definirà “episodio imbarazzante” ed “esemplare dei rischi di iniziative fuori dai canoni”. Anche perché che l’iraniano individuato e patrocinato da Ledeen come perno dell’intera operazione, Manucher Ghorbanifar, era risultato un inaffidabile faccendiere e acclarato bugiardo.
Quindici anni dopo, il nome di Ledeen è riemerso in un’altra inchiesta parlamentare su un’altra operazione da lui escogitata. Parliamo di un “summit” segreto organizzato a Roma nell’ottobre del 2011 tra due funzionari del Pentagono e i vertici del Sismi per valutare un’operazione di spionaggio in Iran. E chi era il perno di quell’operazione? Ghorbanifar. Ça va sans dire che quell’iniziativa aveva un costo – 25 milioni di dollari. E che è finita nell’elenco degli “episodi imbarazzanti”.
Insomma, a Ledeen la serenità della torre d’avorio non è sembrata mai bastare. E ha sempre dimostrato una particolare attrazione per il mondo dei servizi segreti. Incluso quelli italiani. Nel 1980 è stato anche al servizio di Giuseppe Santovito, il generale pidduista all’epoca capo del Sismi. Negli stessi anni, ha inoltre coltivato altre due amicizie di peso. Con Bettino Craxi e Francesco Cossiga.
Non resistiamo alla tentazione e chiediamo allo stesso Ledeen: «Che senso ha per qualcuno che dice di voler cambiare tutto nella politica italiana chiedere consigli a chi, come lei, li scambiava 30 anni fa con Craxi e Cossiga? Scusi, ma lei è il vecchio, non il nuovo».
«È vero», ammette prontamente Ledeen con quella punta di autoironia che lo contraddistingue.
Chiediamo poi a Browne cosa pensa del fatto che quando è a Washington Renzi passi da un progressista come lui a un neocon come Ledeen. «Quando un politico straniero con grandi ambizioni visita Washington è giusto che stabilisca rapporti con tutte e due le parti politiche. Ma gli incontri di quel genere sono diversi da quelli in cui si scambiano idee, valori e modi di far politica. Dubito che discuta di queste cose con conservatori».
Chiediamo allora a Ledeen di che cosa parla con Renzi. «Delle cose che forse mi illudo di conoscere – Medio Oriente, Russia, chi sale e chi scende nella scena politica americana».
E Renzi cosa le dice?
«Quando siamo insieme per lo più mi fa domande… Ma se continuiamo a parlare vuol dire che le mie risposte gli vanno bene».
Abbiamo chiesto chiarimenti anche a Carrai. «A me piace andare a capire l’intelletto delle persone. Ledeen è una persona intellettualmente viva… come ce ne sono altre diecimila».
Il punto è quello: Perché proprio Ledeen?
«Penso di saper scegliere le persone…»
Sapeva di Michael Ledeen e del generale Santovito?
«Chi è il generale Santovito?»
L’ex capo del Sismi.
«Non so chi sia… e questo è a riprova del fatto che con Michael Ledeen non ci sono rapporti oscuri, come qualcuno vuole insinuare».
Veramente questo prova soltanto che lei non sa chi è Michael Ledeen.
«Quando viene in Italia e mi chiama, lo saluto volentieri (…) è un rapporto di natura amicale e intellettuale».
Carrai parla di pura curiosità intellettuale. Ma il Sole 24 Ore ha trovato un episodio in cui, di fatto, la condivisione di idee c’è stata.
Agli inizi del 2011, con Bengasi in subbuglio ma Gheddafi ancora saldo al potere a Tripoli, in un suo blog del 19 febbraio Ledeen scrisse: “Dal Medio Oriente al Sud America il popolo sta chiedendo un cambiamento rivoluzionario… Sentiamo la voce dell’insurrezione democratica. Se riuscisse a prevalere, potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione democratica su scala globale”. Il 23 febbraio si espresse più chiaramente intitolando il suo pezzo “Bomb Libya”.
Il giorno successivo Carrai inviò una lettera aperta a La Repubblica nella quale formalmente si invitavano i lettori a sottoscrivere un “fondo di solidarietà” a favore dei rivoltosi libici, ma che di fatto invocava un intervento europeo: “Siamo di fronte a una rivoluzione planetaria (…) l’Europa non può in nome di una realpolitik fingere una diplomatica neutralità abbandonando alla morte coloro che combattono per la libertà”. E con entusiasmo molto ledeeniano, o forse garibaldino, ma certamente poco cattolico, concludeva: “Se nel Risorgimento ci fossero stati attendismi e non la gioiosa e irruenta forza di giovani liberi oggi non ci sarebbe l’Italia”.
Il problema è che adesso non c’è più la Libia, e che il primo fornitore di petrolio dell’Italia e il terzo di gas naturale non riesce più ad estrarre petrolio e pompare gas come prima.
Per Ledeen conta poco. Lui sta in America, dove grazie al metodo estrattivo del fracking c’è un nuovo boom gas-petrolifero. E dove si tiene occupato cercando di mandare a monte l’accordo di Ginevra con l’Iran. Affinché, come ha scritto, «l’Occidente dimostri di essere veramente pronto a sfidare il regime di Teheran». Magari con una forza armata. Gioiosa e irruenta, ovviamente.
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