Sulle banche la stretta (incompleta) di Bruxelles
Una riforma finalizzata a evitare che una banca metta a repentaglio l’intero sistema finanziario e quindi costringa il suo governo a salvarla (con il denaro dei contribuenti): è la questione tanto discussa della banca too-big-to-fail — troppo grande per essere lasciata fallire — che finalmente viene affrontata.
La Commissione Ue, attraverso il commissario ai Servizi finanziari Michel Barnier, ha pubblicato la sua proposta di legislazione: non smonta in toto la banca universale, quella che fa tutto, ma limita la sua possibilità di operare da banca commerciale tradizionale e allo stesso tempo di comprare e vendere in proprio attività finanziarie rischiose. La riforma lascia parecchi insoddisfatti: secondo i banchieri crea incertezza sul loro modello di business; per i critici dei banchieri non è abbastanza restrittiva. Resta il fatto che, pur con difetti, delinea la cornice nella quale frenare la tendenza delle grandi banche — organizzate con strutture complesse spesso incomprensibili — a prendere rischi eccessivi, tanto lo Stato prima o poi le salva. È la riforma anti-casinò, se si vuole. Si affianca a interventi decisi dalla Ue o dalle autorità di vigilanza negli ultimi mesi sul capitale minimo delle banche, sulla loro liquidità, sulla nuova supervisione centralizzata nella Banca centrale europea, sul meccanismo di fallimento o salvataggio di istituti in crisi. Assieme, formano la nuova architettura del sistema bancario europeo.
Le nuove norme, tecnicamente complesse, dovranno essere votate dal Consiglio europeo e dal Parlamento di Strasburgo: quest’ultimo è però in scadenza e non riuscirà a discuterne. La questione arriverà sul tavolo della prossima Commissione a inizio 2015 e non sarà approvata prima della fine dell’anno prossimo. Le linee di fondo, però, sono già chiare e i mercati le considereranno sostanzialmente in essere: le banche più serie e le autorità di vigilanza faranno bene ad adeguarsi subito.
Le maggiori 30 banche europee non potranno fare trading in proprio di strumenti finanziari e di materie prime «al solo scopo di fare profitti». L’attività di banca commerciale che raccoglie depositi e presta denaro dovrà essere separata da quella di trading in proprio attraverso una «sussidiarizzazione», cioè formando entità legali separate all’interno del gruppo. Lo scopo: rendere trasparente l’attività di ogni funzione e fare capire quanto è stabile ogni entità, come si finanzia, quali profitti e quali perdite produce. Le autorità di vigilanza nazionali potranno costringere le 30 banche, ma anche quelle più piccole se lo decidono, a mettere in queste società separate altre attività ad alto rischio, ad esempio operazioni complesse sui derivati o cartolarizzazioni.
Il punto più debole della riforma è che la decisione sul modo in cui deve avvenire la separazione è lasciata alle autorità nazionali. Germania e Francia hanno fortemente voluto questo «decentramento». Ora sarà importante che siano chiariti a livello europeo, dalla European Banking Authority, i criteri tecnici comuni con i quali si definisce la rischiosità delle diverse operazioni.
Tra le 30 maggiori banche europee ci saranno Unicredit e Banca Intesa, per le quali la separazione delle attività a più alto rischio dovrebbe in gran parte essere già delineata, concentrato in HypoVereinsbank per la prima, in Imi per la seconda. Qualche problema potrebbe esserci nel Monte dei Paschi, che non fa parte delle 30 ma probabilmente farebbe bene ad allinearsi per presentarsi trasparente ai mercati. Per le banche meno grandi, non chiamate ad allinearsi dalla riforma, la Banca d’Italia potrebbe decidere di avere un ruolo attivo e, attraverso la moral suasion, spingerle a separare le attività. In fondo, agli istituti di dimensioni medie sarebbe utile: le nuove norme prevedono che, se procedono a quella che la Ue chiama «sussidiarizzazione», sia evitato loro lo stretto scrutinio delle autorità; inoltre, d’ora in poi i mercati premieranno le banche trasparenti nella struttura con valutazioni più generose e dunque sarebbero penalizzate se rimanessero con struttura confuse e difficilmente leggibili.
Insomma, in un anno è cambiato tutto per le banche europee. Ora il gioco sta nell’adeguarsi.
Danilo Taino
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