Sul blog la base rilancia: noi talebani della democrazia

by Sergio Segio | 31 Gennaio 2014 9:39

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MILANO — Ad ammetterlo è anche il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, che ieri, in conferenza stampa a Montecitorio, ha spiegato: «Non siamo abituati a parlare in pubblico e a volte svirgoliamo». Bruciano ancora gli insulti sessisti del deputato del M5S Massimo De Rosa alle colleghe del Pd.
Da giorni i toni dei parlamentari e degli attivisti pentastellati sono incandescenti. Nelle Aule. Ma anche sui social network. Non ci si cambia d’abito a seconda del contesto. Ieri la foga si è attenuata, certo. Ma lo stile e l’imprinting sono sempre quelli di Beppe Grillo, che twitta: «Vengo a Roma ad abbracciarvi perché siete dei guerrieri». E non importa se loro, i guerrieri, sono deputati e senatori della Repubblica. Non importa nemmeno se ricoprono ruoli istituzionali.
In 140 caratteri alcuni si esprimono come cittadini qualunque che si lamentano di ciò che non va e non usano giri di parole per esprimere il proprio fastidio. Come quegli attivisti che sul blog affermano: «Siamo i fascisti e i talebani della democrazia». Così a colpi di hashtag la presidente della Camera diventa Laura #tagliolaBoldrini. Il presidente Giorgio Napolitano (già definito «boia») viene raffigurato in un fotomontaggio con una corona in testa. Con il risultato che il linguaggio politico si avvicina a quello dei meme , i tormentoni che girano nella Rete. Le strategie di comunicazione diventano le stesse dei commentatori del blog. «Avrei potuto utilizzare altre parole ma la sostanza non cambia! Stanno depredando #Bankitalia! e noi non cederemo di 1 millimetro!», cinguetta Angelo Tofalo che in Aula ha usato l’espressione «Boia chi molla». «La mia collega (sic!) Lupo aspetta ancora la vostra indignazione e le vostre scuse», scrive Vito Crimi all’indirizzo di Matteo Renzi e Alessandra Moretti.
Ma c’è anche chi prende le distanze come il dissidente Francesco Campanella, che afferma sibillino: «Conservo molte opinioni. E le tengo in bell’ordine. Le limo, le stiro. Le saggio nel confronto con la realtà. E le tengo esposte. Perché un uomo che si occupa delle cose pubbliche deve fare così».
Differenze di stile o di sostanza? Difficile dirlo. Ma forse la sintesi è tutta in quel tweet battagliero di Massimo De Rosa (@Maxdero) che, parlando di Montecitorio, cinguetta: «Il guardaroba chiude alle 21 e io vengo in moto quindi ora per le commissioni mi porto il casco».
Marta Serafini

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