Soldi ai partiti la cura sbagliata

by Sergio Segio | 3 Gennaio 2014 9:30

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Certo, i partiti hanno fatto di tutto per meritare questa pessima considerazione. In Italia più che altrove, anche se la malattia è diffusa ovunque.

Sedi chiuse, iscritti in calo e, soprattutto, disistima generalizzata accomunano tutte le democrazie mature, dalla Scandinavia
ai paesi mediterranei.
Il voto di febbraio ha espresso il disgusto dell’opinione pubblica italiana per una classe politica arruffona e forchettona.
Per rimediare, già due anni fa, in luglio, venne varata una nuova norma sul finanziamento pubblico (legge 96/2012) con la quale si riduceva drasticamente la cifra erogata dallo Stato, si richiedeva un 30% di cofinanziamento, e si reintroducevano le detrazioni fiscali. Lo tsunami di Beppe Grillo ha reso evidente che non bastava. In effetti quella legge era timida e contraddittoria. Ecco quindi una nuova norma, già approvata dalla Camera in ottobre, e varata pochi giorni fa con un decreto legge governativo.
L’impostazione di questa norma deriva dal successo del Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni. Solo che, agendo in tal senso, si sono commessi due errori strategici. Il primo è quello di aver dato ragione a un contendente nell’arena politica. Se approvi una norma che viene richiesta a gran voce da un’altra forza politica, ti metti al suo traino. E non potrai mai raggiungerla, come la mitica tartaruga di Achille, perché chi riesce a introdurre, e poi a imporre, un tema rilevante nel dibattito politico, poi ne diventa il proprietario. La moralizzazione della vita politica e l’abbattimento del finanziamento pubblico costituiscono il codice identificativo dei 5Stelle. Poi potranno sbagliare tutto, ma per l’elettorato sono loro i portabandiera di questi temi. Rincorrerli sul loro terreno non fa che aiutarli. Esattamente come fece maldestramente il governo di centrosinistra nel 2000 quando modificò il titolo V della Costituzione per compiacere le domande di devolution della Lega. Fu un regalo bello e buono al Carroccio. Anche adesso il governo Letta e gran parte del Pp seguono l’onda montante della demagogia antipartitica e si accodano alla protesta grillina contro il finanziamento pubblico. E questo è il secondo errore strategico. Un governo e un partito che vogliano difendere la funzione del partito politico devono proporre una visione alternativa, non un azzeramento completo, facile e dannoso. Altrimenti non ci si può stupire se poi quasi la metà degli italiani pensa di poter fare a meno dei partiti. Purtroppo il decreto va nella direzione sbagliata per cinque ragioni specifiche e per una di portata più generale. Nello specifico: a) abolisce in toto l’erogazione di fondi pubblici verso i partiti allontanandosi da tutti gli altri paesi europei (Svizzera esclusa) che invece prevedono forme di finanziamento pubblico, lasciando tutto nelle mani dei donors;
b) reintroduce la norma, già sperimentata nella legge del 1997, della destinazione di una quota del reddito ai partiti (allora era il 4 per mille ora il 2 per mille), norma che fallì clamorosamente e di cui non vennero mai fornite cifre ufficiali sull’entità delle donazioni; c) si introducono le detrazioni fiscali, tra l’altro più generose rispetto alle Onlus, che sono una forma surrettizia di finanziamento pubblico; d) il controllo sui bilanci si limita alla loro regolarità e conformità e le sanzioni sono solo amministrative; e) non si pone un limite al tetto delle spese.
Inoltre, sul piano generale, affidare il sostegno finanziario completamente ai cittadini, benché sembri il non plus ultra
di una democrazia partecipante, rinforza la natura privatistica dei partiti e allontana la prospettiva di una loro regolazione. La richiesta ai partiti di depositare uno statuto, contenuta nel decreto legge, non ha alcun valore se non ci sono linee guida cogenti da rispettare. Mentre in 18 dei 28 paesi membri della Ue sono state introdotte leggi che definiscono il quadro entro cui operino i partiti e, a compensazione di questa intrusione, viene garantito un contributo finanziario, da noi si esclude questa opzione. Sperare che i partiti vivano di risorse proprie, trasparenti e rintracciabili, in una fase di montante anti-partitismo senza fornire loro né un quadro normativo vincolante per le loro attività, né adeguati controlli e limiti, rischia di sospingerli ancora una volta verso pratiche opache. È curioso che su un tema così delicato si segua la demagogia e non si guardi al di là delle Alpi. Ancora una volta ci fermiamo a Chiasso.

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