Siria, ora i ribelli si fanno la guerra tra loro

by Sergio Segio | 9 Gennaio 2014 9:49

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AL MERCATO di Bustan al-Qasr, nel centro di Aleppo in mano ai ribelli, fra banchetti di verdura e smitragliate al cielo ieri si celebrava il funerale dei combattenti islamisti uccisi negli scontri con una brigata di qaedisti. Seguiva un corteo di bambini col fazzolettone alla foggia dei fondamenta-listi, e donne sepolte dal niqab. Tutti vocianti contro l’Isis, lo Stato islamico d’Iraq e del Levante, più noto in Siria come Da’ash, la sigla dispregiativa in arabo dell’Isis, il nuovo arcinemico da abbattere.
La mischia sulle martoriate terre siriane ora contrappone fazioni di insorgenti estremisti. Ha già fatto almeno 274 morti in quattro giorni: 129 ribelli e qaedisti del Fronte al Nusra, 99 jihadisti dell’Isis e 46 civili. A parte gli innocenti, tutti siriani, un buon numero dei caduti sul campo proviene da quell’enorme serbatoio della jihad che corre dal Maghreb fino agli estremi confini dell’Asia, in testa i sauditi, ceceni, kazaki, libici, tunisini, afgani e talibani, prolifici nel fornire kamikaze, l’arma fino a ieri più potente contro l’esercito lealista, oggi rivolta contro le stesse schiere ribelli.
Quale sia il livello dello scontro s’annuncia nel messaggio dell’Isis, che incita “all’annientamento” dei ribelli anti-Assad con propositi efferati: “Tagliate loro le teste, sarete ricompensati… Siate certi della vittoria di Dio”. Le minacce di morte non risparmiano i componenti della Coalizione na-
zionale siriana, l’opposizione in esilio sostenuta dall’Occidente, bollata “un legittimo bersaglio”.
Si apre così la seconda fase della guerra siriana — la prima essendosi conclusa con uno stallo militare e la recente avanzata dell’esercito lealista. Anzi, stando agli attivisti democratici, uniti nel denunciare “il sequestro della rivolta”
da parte dei miliziani armati, questo ne è «l’epitaffio».
Il terreno restituisce l’immagine di una oscena zuffa, priva di un piano coordinato e di fronti omogenei. Battaglioni dell’una o dell’altra formazione ora si affrontano, ora si alleano su un teatro fluido dove i raggruppamenti corrispondono a lotte locali di potere.
A Nord, attorno a Raqqa e Idlib, i qaedisti del Fronte al Nusra, i jihadisti salafiti di Ahrar al-Sham e di Liwa Sheikh al-Islam, la farragine islamista del Fronte islamico, fanno strage gli uni degli altri con colpi di mortaio, Rpg, autobombe e kamikaze. Si combatte attorno a Bab al-Hawa, lo strategico posto di frontiera con la Turchia, preso
in dicembre da Ahrar al-Sham: da lì passa la linea dei rifornimenti, oggetto di bottino. L’assassinio di al-Suleiman, il leader di Ahrar al-Sham impietosamente mutilato dall’Isis, hanno innescato lo scontro.
La seconda fase promette nuove atrocità. L’Isis, costretta sulle a ritirarsi nell’area di Idlib, ha giustiziato 35 prigionieri. Ad Aleppo ha massacrato gli impiegati di un centro mediatico dell’opposizione. Lo stesso ha fatto il Fronte rivoluzionario agli ostaggi di Jund al-Aqsa, un gruppo indipendente. Dalle carceri dei qaedisti è stato tratto in salvo un bambino di 10 anni.
Mentre gli avversari tentano una mediazione, l’accordo non piace all’Occidente. Al Nusra tende la mano all’Isis, ricordando che essi «condividono la medesima ideologia». Li invita a «rinunciare alle lotte interne in vista della Conferenza di Ginevra II, dove verrà proposta — ecco l’anatema — una soluzione politica, che servirà soltanto al regime». Ricalca le invettive all’indirizzo di «americani e ebrei intenti a impedire un Califfato islamico». Nel loro delirio, sono parole in parte profetiche: con una capovolta di proporzioni storiche, si vanno ribaltando le alleanze strategiche al tavolo della diplomazia: Teheran e Washington s’avvicinano, Russia e America collaborano. Kerry, il segretario di Stato riassume: «Questa è una lotta ben più grande che l’Iraq e la Siria. Respingere la violenza dei terroristi estremisti è nell’interesse del mondo».

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