by Sergio Segio | 10 Gennaio 2014 8:18
È di questi giorni il sì al disegno di legge sul “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato”, proposto dal ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
La proposta era già approdata in consiglio dei ministri in giugno (2013), ora è stata approvata dalla Conferenza Unificata, composta da soggetti dell’apparato statale e da quelli appartenenti alle autonomie locali, e dallo stesso Consiglio.
L’atto poteva costituire un passo importante, perché finalmente il governo non solo discute ma cerca di trattare operativamente il problema del consumo di suolo.Tuttavia la stesura finale del provvedimento risulta largamente insufficiente, in quanto conserva tutti gli elementi contraddittori già presenti nella bozza originaria e oggetto di svariate critiche da più parti perché tali da indebolire, fino a vanificarne le migliori opzioni, l’efficacia del provvedimento. Nel nostro paese l’ingombro dell’urbanizzato giunge a coprire il 20% circa del suolo nazionale. Bernardino Romano ed altri urbanisti, nell’ambito della ricerca “Riutilizzare l’Italia”, riporta i dati di Ecoplanum sul censimento delle superfici cementificate-aggiornato al 2010 — tratto dall’incrocio tra restituzioni satellitari, ortofotocarte e letture delle carte tecniche di tutte le regioni. I dati dicono che il risultato parziale, relativo a meno del 50% del territorio nazionale, fornisce già un dato confermato di urbanizzazione di 35mila chilometri quadrati circa su un totale di 301mila, più del 10 %! Allorché l’indagine sarà completata il dato supererà certamente la soglia citata.
Accanto a quest’ordine di rilevamenti emergono clamorosamente i dati relativi alle stanze vuote ed ai volumi commerciali ed industriali inutilizzati: per le prime siamo a circa venti milioni, mentre i secondi ormai superano il miliardo di metri cubi(tra qualche settimana saranno ufficiali i dati dell’ultimo censimento). Di fronte a tale situazione, si invocava una legge sul blocco del consumo di suolo che fosse veramente tale: escludendo qualsiasi nuova edificazione, a meno di casi particolarissimi; fornendo ai piani urbanistici chiare strumentazioni per ridurre o azzerare i diritti edificatori già acquisiti, specie in contesti già segnati da forte sovrabbondanza di offerta; cancellando la possibilità che le leggi “di emergenza” berlusconiane (la legge Obiettivo per le infrastrutture, quelle speciali per energia, rifiuti, depurazione,etc.) potessero aggirare la stessa pianificazione, anche paesaggistica, determinando con forza il recupero — anziché le nuove costruzioni — nella direzione delle nuove politiche urbane e territoriali.
Il provvedimento invece ha tralasciato di dettagliare questi caveat, mantenendo tutti gli elementi di confusione e contraddizione denunciati. In un paese come l’Italia dove, come sosteneva a giugno di quest’anno la stessa ministra Nunzia De Girolamo «(…) ogni giorno impermeabilizziamo più o meno l’equivalente di 150 campi da calcio» e dove c’è stato un «aumento del 166% del territorio edificato in Italia negli ultimi 50 anni».
Nella normativa infatti emergono chiaramente i punti controversi. In fondo al comma 1 dell’art.3 del Ddl sul contenimento del consumo di suolo: « (…) è determinata l’estensione massima di superficie agricola consumabile sul territorio nazionale, nell’obiettivo di una progressiva riduzione del consumo di suolo di superficie agricola». Questo principio rientra nell’ottica europea del «(…) traguardo di un incremento dell’occupazione netta di terreno pari a zero da raggiungere entro il 2050». Ma se da un lato l’Europa sembra essersi accorta del problema, dall’altro lato sembra non aver ancora capito l’entità dell’emergenza. «(…) Dal rapporto Overview on best pratices for limiting soil sealing and mitigatin its effects, presentato per la prima volta in Italia dalla Commissione europea durante il convegno ISPRA» del 5 febbraio 2013, «circa il 2,3% del territorio continentale è ricoperto da cemento. Dai 1000 kmq stimati nel 2011 dalla Commissione europea – estensione che supera la superficie della città di Berlino – circa 275 al giorno (1990 e il 2000), si è passati ai 920 kmq l’anno (252 ha al giorno) in soli 6 anni (2000–2006) ».
Chi si occupa di territorio e di urbanistica in Italia sa, e non c’è dubbio alcuno, che un orizzonte del genere, cioè quello del 2050, potrebbe rivelarsi inefficace per avviare una vera alternativa allo spreco del territorio agricolo e non. Tempi troppo lunghi per un’attuazione che dovrebbe avvenire, se non immediatamente, al massimo in uno spazio di qualche anno.
Sostiene l’Ispra che «(…) il consumo di suolo in Italia è cresciuto ad una media di 8 mq al secondo e la serie storica dimostra che si tratta di un processo che dal 1956 non conosce battute d’arresto. Si è passati dal 2,8% del 1956 al 6,9% del 2010, con un incremento di 4 punti percentuali. In altre parole, sono stati consumati, in media, più di 7 mq al secondo per oltre 50 anni » (Comunicato Stampa Ispra – L’Italia perde terreno consumati 8 mq al secondo di suolo).
E ancora «(…) Il fenomeno è stato più rapido negli anni ’90, periodo in cui si sono sfiorati i 10 mq al secondo, ma il ritmo degli ultimi 5 anni si conferma sempre accelerato, con una velocità superiore agli 8 mq al secondo » (Comunicato Stampa Ispra – L’Italia perde terreno consumati 8 mq al secondo di suolo).
Ci si porta dietro tutto il peso degli errori passati come si può facilmente capire all’art. 9 del Ddl: «(…) A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge (…), e comunque non oltre il termine di tre anni, non è consentito il consumo di superficie agricola tranne che per la realizzazione di interventi già autorizzati e previsti dagli strumenti urbanistici vigenti, nonché per i lavori e le opere già inseriti negli strumenti di programmazione delle stazioni appaltanti e nel programma di cui all’articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443». E la legge n.443 altro non è che la cosiddetta “legge Obiettivo”. Come a dire, urge cambiare le nostre azioni, ma con calma non c’è poi così fretta. Un pericoloso controsenso.
Scriveva Salvatore Settis: « (…) rassegnati ormai alle devastazioni che ci feriscono ogni giorno, rifiutiamo di vedere quel che dovremmo: che l’anomalia sta diventando la regola, che l’eccezione si va trasformando in modello unico di sviluppo, che l’urban sprawl sta mangiandosi città e campagna, che intere generazioni di italiani (milioni di persone) non hanno più nella loro geografia interiore nessun paesaggio armonioso da ricordare, nulla su cui fantasticare. La città orizzontale, diffusa e dispersa, cresce su stessa, si sparge intorno come una colata lavica. Inghiotte l’antica campagna, ma fra casa e casa lascia una moltitudine di segmenti interstiziali. Residui e frammenti che non sono buoni né per l’agricoltura né (ancora) per l’abitazione, una zona grigia che corrisponde a uno spazio dell’indecisione, ma anche dell’insicurezza » (S. Settis, Paesaggio, Costituzione e Cemento, 2010).
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