Se l’acqua non basta ecco le regole d’oro per salvare la Terra

by Sergio Segio | 17 Gennaio 2014 10:20

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Lasciate passare ancora qualche anno e i barili per cui ci si accapiglierà in Borsa non saranno quelli dei futures sul greggio. Saranno quelli sull’acqua, perché solo spostando l’acqua dolce da dove ce n’è troppa a dove non ce n’è più sarà possibile mantenere vivibili vaste zone del mondo. Ormai, quasi nessuno crede più che sia possibile fermare l’aumento delle temperature sotto i 2-3 gradi. E gli scienziati stanno scoprendo che basta anche quel piccolo ritocco al termometro per scatenare effetti devastanti. Meno acqua, meno cibo e, quasi sempre, meno acqua e meno cibo insieme: così si possono raddoppiare i danni che il riscaldamento globale provoca all’agricoltura. Soprattutto nelle zone più esposte al cambiamento climatico: primo fra tutte, il Mediterraneo. Oggi, una quota ridotta di popolazione vive in regioni in cui il clima è dichiaratamente inospitale. Domani saranno il 10 per cento dell’umanità, poco meno di un miliardo di persone, sparse fra l’Amazzonia e gli altopiani dell’Africa orientale, ma concentrate nei Balcani e a cavallo
dei Pirenei.
In queste settimane, l’Accademia americana delle Scienze sta pubblicando una serie di lavori in cui, in uno sforzo inedito, gruppi di scienziati da ogni parte del globo (dalla Nasa a Potsdam al Giappone) tentano di fotografare gli effetti di un riscaldamento, anche limitato (3-4 gradi) nelle singole regioni del globo. Per l’agricoltura, è una spaccatura netta. Riso e soia non saranno particolarmente compromessi, ma mais e, soprattutto, frumento sì. Almeno in Sud America, fino al Brasile, nell’Africa subsahariana, nel sud est degli Stati Uniti, in India, Indonesia, nella Cina meridionale e in vaste zone dell’Australia, dove i raccolti potrebbero scendere del 20 per cento, ma, in alcuni casi, come a ridosso dell’Amazzonia, fino al 50 per cento. Alcune di queste regioni (come Brasile, Australia, Stati Uniti) sono fra i granai del mondo. Basterà a compensare questi vuoti nei silos l’aumento di produzione delle zone che il riscaldamento renderà più fertili? I dubbi non sono pochi, perché a cavallo delle Montagne Rocciose del Nord Ovest americano, nelle zone subartiche del Canada, della Russia e della Svezia, sull’altopiano dell’Himalaya la qualità del suolo — al contrario di quanto accade nelle pianure del Mato Grosso o del New South Wales, potrebbe essere poco adatta ad una produzione spinta di cereali.
Ma non sono queste le notizie peggiori. Quelle vengono dall’acqua. Oggi, non più di una o due persone ogni cento deve fare i conti con meno di 500 metri cubi di acqua dolce l’anno, cioè meno della metà della media mondiale (1.200 metri cubi l’anno). Con un aumento di temperatura di 3 gradi, diventeranno dieci su cento. Dove? Nel Mediterraneo, dicono gli scienziati, nel Medio Oriente, nella Cina meridionale e nel sud degli Stati Uniti. In Italia, i problemi ci saranno soprattutto nell’Italia meridionale, assetata da sempre. Ma, a sorpresa, anche in fette di Piemonte e di Veneto. Per l’Italia, tuttavia, un impatto significativo è legato ad un aumento di temperatura netto e sensibile, superiore a 3,5 gradi. Altrove, nel bacino del Mediterraneo, basterà un grado e mezzo per prosciugare con la siccità tutti i Balcani, l’Anatolia, gran parte della Spagna e della Francia meridionale.
Con effetti sull’agricoltura, viene da pensare, visto che il grosso dell’acqua dolce (quei 1.200 metri cubi l’anno) viene soprattutto usato per irrigazione. A sorpresa, tuttavia, gli scienziati non avevano ancora pensato di sommare i due impatti. Lo hanno fatto ora, nel quadro di questo programma, che si chiama Isi-Mip. I risultati stringono la gola, perché la somma è una moltiplicazione. La carenza di acqua per irrigare, costringendo a tornare all’agricoltura in balia della pioggia, nel momento in cui anche le temperature si alzano, può raddoppiare gli effetti del riscaldamento globale. Secondo le simulazioni, la coltivazione di cereali mondiale può essere colpita — dall’aumento delle temperature come dalla variazione di anidride carbonica — fino ad un massimo del 43 per cento dei raccolti, entro questo secolo. Ma se la carenza d’acqua fa tornare all’agricoltura alimentata solo dalla pioggia 20-60 milioni di ettari di suolo coltivabile, l’effetto si raddoppia, i raccolti crollano ancora di più e la perdita di cibo può arrivare, in molte zone, all’80 per cento.
E allora? I modelli climatici indicano che ci saranno aree soprattutto nelle zone più lontane dai tropici, dove la disponibilità di acqua dolce è destinata ad aumentare, anche in misura considerevole. Redistribuire l’acqua in eccesso per ripristinare l’irrigazione nelle regioni che vi hanno dovuto rinunciare, ragiona Joshua Elliott, uno degli scienziati coinvolti nelle ricerche, potrebbe ridurre gli impatti negativi del riscaldamento globale, arrivando anche a dimezzarli. Avere a che fare con il 40 per cento di cibo in meno non è facile, ma è più semplice che affrontare un buco dell’80 per cento. O, almeno, sarebbe. In realtà, riconosce Elliott, in questa storia di semplice e facile non c’è niente. Redistribuire l’acqua è difficile e la sua alternativa — redistribuire le persone con l’immigrazione — lo è anche di più.

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