Roma, arrestato il re dei rifiuti “Pressioni anche sui parlamentari”

by Sergio Segio | 10 Gennaio 2014 7:50

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ROMA — La monnezza era cosa loro. La monnezza e tutto quello che ci girava intorno. La politica, innanzitutto, ma anche la concorrenza, la scelta dei siti, la definizione delle tariffe. Tutto. Per questo ieri sono finiti in manette, tutti ai domiciliari, il “re dei rifiuti del Lazio”, il ricchissimo 87enne Manlio Cerroni, e sette suoi “sodali”, suoi collaboratori personali o dirigenti della Regione che lavoravano per lui, come l’ex governatore del Lazio, Bruno Landi. Pubblici ufficiali che gli garantivano appoggio, influenze, contatti, e che lo aiutavano se qualcosa andava storto. Una rete di relazioni che ha permesso di ottenere un vantaggio economico da 18 milioni di euro, sequestrati dal gip. Ma le indagini continuano e il giro rischia di essere molto più grande.
Ventuno gli indagati di questa mega-inchiesta della procura di Roma, tra i quali figura anche l’ex governatore del Lazio, Piero Marrazzo, sotto inchiesta per abuso d’ufficio e falso. Tantissimi i reati contestati, dall’associazione per delinquere alla truffa aggravata, passando per l’abuso d’ufficio e tutta una serie di violazioni alla legislazione sui rifiuti.
«MILLE RIVOLI DI REATI»
Una storia, quella di Cerroni, uno degli uomini più ricchi di Italia che, come spiega il gip del tribunale di Roma Massimo Battistini nell’ordinanza con cui ha disposto l’arresto, parte negli anni Sessanta con la prima regolamentazione sui rifiuti. Da allora il business dell’avvocato cresce di anno in anno, tanto che oggi i magistrati non hanno alcun dubbio a definirlo un monopolista. Una
posizione ottenuta grazie a una serie di reati che per la toga sono «come un fiume che si dipana attraverso mille rivoli spesso caratterizzati da reati contro la normativa in materia di ambiente e contro la pubblica amministrazione ». «Nel corso degli anni (
rectius: dei decenni), l’attività del Gruppo Cerroni si è sempre connotata per la ripetitività del modus operandi: realizzare gli impianti prima di ottenere la autorizzazione sulla base di titoli autorizzativi provvisori o sperimentali in modo da indurre o costringere le amministrazioni ad adeguare la situazione di diritto a quella di fatto (pena il determinarsi di una emergenza rifiuti paragonabile a quella di Napoli) e sfruttare situazioni emergenziali al fine di aggirare l’obbligo di rispetto della normativa nazionale e regionale, nonché di consolidare una posizione di sostanziale monopolio nella Regione Lazio».
«CI PENSA IL SUPREMO»
Il business di Cerroni, come testimonia l’approfondito lavoro del pubblico ministero Alberto Galanti e dei carabinieri del Noe, si regge su equilibri molto precari perché sempre frutto di contrattazioni politiche, di lobbying, di scambio di favori e, soprattutto, non in regola. Quindi a rischio di essere messo in crisi al primo cambio di amministrazione, alla prima richiesta di chiarimenti, al primo controllo di una qualche autorità. Ecco così che vengono vissute come un dramma le richieste di chiarimenti della Regione sulle percentuali conferite ad Albano Laziale per le quali il gruppo Cerroni aveva dichiarato molto di più dell’effettivo, le elezioni o le nomine dei commissari straordinari, istituto comunque fortemente voluto da Cerroni e dai suoi che, in emergenza, potevano derogare a tutta una serie di vincoli legislativi. Problemi che lui, Cerroni, puntualmente risolve. Tanto che i suoi fedelissimi spesso dicono: «Il supremo ha risolto il problema».
I CONTATTI CON I POLITICI
La Regione, certo. Era quello il referente principale dell’associazione. Presidenti, assessori e dirigenti. Ma la rete di relazioni arrivava anche più in alto, se c’era bisogno. Nelle vicende prese in considerazione dall’ordinanza, figura anche quella del termovalorizzatore di Albano Laziale. È il 2008, il parere della commissione sull’impatto ambientale della struttura è negativo. L’avvocato e il suo entourage scendono in campo. Cerroni chiama e incontra alcuni politici nazionali. «In quel periodo si registrano reiterati contatti, anche personali, con parlamentari (Beppe Fioroni, Ermete Realacci ed Edo Ronchi) e un generoso contributo di 20mila euro alla fondazione “Sviluppo Sostenibile”, gestita dal terzo», scrive il gip. Alla fine, il 6 novembre 2008 veniva emanato il decreto che concedeva gli incentivi e, si legge nell’ordinanza, «la maggioranza era di segno opposto ai politici di riferimento, circostanza che non consente di ascrivere disvalore penale ad una attività apparentemente di mero lobbying».

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