Renzi non arretra su Fassina E accelera sulla legge elettorale
ROMA — Ammette che si trattava di «una battuta», ma proprio per questo si «dispiace» se Stefano Fassina si è dimesso per quello. Se, invece, è per «motivi politici, grande rispetto: ce li spiegherà alla Direzione del Pd convocata per il 16 gennaio, raccontandoci cosa pensa del governo, cosa pensa di aver fatto, dove pensa di aver fallito». Matteo Renzi interviene pubblicamente il giorno dopo le dimissioni di Fassina da viceministro dell’Economia. Gesto arrivato immediatamente dopo la battuta pronunciata in conferenza stampa a Firenze, dopo la segreteria.
Quel «chi?» sarcastico — riferito a Fassina che chiedeva un rimpasto nel governo come assunzione di responsabilità da parte dei vincitori della segreteria — ha avuto effetti probabilmente imprevisti, ma non del tutto sgraditi. E consente a Renzi di riaffermare l’immagine che vuole incarnare: «Non cambierò il tono dei miei incontri con la stampa. Non diventerò mai un grigio burocrate che non può scherzare, non può sorridere, non può fare una battuta. La vita è troppo bella per non essere presa con leggerezza». Ieri non era tempo di polemizzare, visto l’improvviso malore di Pier Luigi Bersani, ma queste parole sono state scritte prima, su Facebook. E negano l’accusa di avere una «visione padronale», che Fassina gli ha scagliato addosso dopo le dimissioni: «Non me ne ero accorto quando si trattava di confermare i capigruppo o di scegliere il presidente dell’assemblea o di tenere aperta la segreteria anche a persone non della maggioranza». Quanto al rimpasto, parola-trappola da cui rifugge, «continuo a non chiederlo perché la preoccupazione del Pd sono gli italiani che non hanno un posto di lavoro, non i politici che si preoccupano di quale poltrona possa cambiare».
E soprattutto Renzi non ha nessuna intenzione di indebolirsi in quello che chiama un «congresso permanente». Perché l’impressione è che il gesto di Fassina sia da ricollegarsi proprio alla fine dell’«idillio» (formale) con il nuovo segretario e all’inizio delle ostilità da parte dell’opposizione interna. Lo dice apertamente il portavoce del partito Lorenzo Guerini: «Le motivazioni di Fassina sono di carattere politico, già espresse in precedenti interviste. Non enfatizzerei una decisione già nell’aria, legata anche alla sistemazione di una situazione postcongressuale di una componente del partito». Debora Serracchiani li chiama «effetti speciali».
Ma a Renzi interessa procedere sui temi concreti, primo tra tutti la legge elettorale. Da domani (giorno in cui Forza Italia renderà nota la sua posizione) o dopo potrebbero cominciare i primi incontri bilaterali. Difficile che siano condotti dai leader, in prima persona, come chiesto da Renzi. Più facile che per il Pd sia delegata Maria Elena Boschi, insieme allo stesso Guerini e a Dario Nardella. Il Pd solleverà anche il problema del relatore della legge elettorale alla Camera, che è Francesco Paolo Sisto, di Forza Italia, e che si vorrebbe sostituire con un esponente pd. Quanto al job act, ci sarà un lavoro preliminare, con incontri interni al partito (da Cesare Damiano ai Giovani Turchi), ma anche esterni, visto che dovrà poi entrare nel patto di coalizione. Lavori in corso anche sul capitolo chiamato dai renziani «Italia Civile». Che comprende le Unioni civili, ma anche l’immigrazione, lo ius soli, il volontariato, le adozioni, le imprese sociali. Se Renzi in questi primi giorni sarà a Firenze (oggi partecipa alla rievocazione storica della Cavalcata dei magi e domani sarà all’inaugurazione di Pitti Immagine), il 15 sarà sicuramente a Roma, per la segreteria. Convocata il giorno prima della cruciale Direzione. Dove farà una relazione sul job act e potrà tastare con mano il grado di surriscaldamento del clima interno del partito.
Alessandro Trocino
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