Renzi ne asfalta un altro (del Pd)

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Fuori due. Lo «stil nuovo» di Mat­teo Renzi, nean­che un po’ dolce, fa sal­tare altri nervi e un’altra testa den­tro il Pd. Dopo il ’caso Fas­sina’, sbef­feg­giato con un «chi?» che ne ha pro­vo­cato le dimis­sioni da vice­mi­ni­stro, sta­volta tocca a Gianni Cuperlo, lo scon­fitto delle pri­ma­rie che solo dopo infi­nite pres­sioni dei suoi (ma non di D’Alema) aveva accet­tato la pre­si­denza dell’assemblea del Pd, ruolo poco più che ono­ra­rio per un orga­ni­smo che si riu­ni­sce due-tre volte l’anno. Mar­tedì sera lo scon­tro in dire­zione: Cuperlo duro con­tro la pro­po­sta di «Ita­li­cum», l’accordo elet­to­rale con Ber­lu­sconi, e sulla pre­tesa di «pren­dere o lasciare». Renzi a passo di carica replica che non può pero­rare le pre­fe­renze chi non è pas­sato per le par­la­men­ta­rie: «Me lo sarei aspet­tato da Fas­sina, che ha preso 12mila pre­fe­renze a Roma». Offeso, l’uomo della mino­ranza abban­dona la riu­nione. I suoi attac­cano il segre­ta­rio ma fino a tarda notte cer­cano di con­vin­cere Cuperlo a restare al suo posto. Lui che ha sem­pre detto che can­di­darsi alle pri­ma­rie era stato «for­zare il suo carat­tere». E che, intel­let­tuale e stu­dioso, non sem­bra adat­toa fare il punch­ball degli uno-due di Renzi.

Così ieri all’ora di pranzo Cuperlo riu­ni­sce i suoi alla camera e legge le sue dimis­sioni, scritte a caldo nella notte e già inviate ai social net­work e alle agen­zie per­ché sia inu­tile chie­der­gli di ripen­sarci. Poi dice ai suoi più stretti: «Ora mi sento più libero». Defi­cit di demo­cra­zia interna e attac­chi per­so­nali, sono le accuse che lan­cia: «Mi dimetto per­ché sono col­pito e allar­mato da una con­ce­zione del par­tito e del con­fronto al suo interno che non può pie­gare verso l’omologazione, di lin­guag­gio e pen­siero», «Ritengo non pos­sano fun­zio­nare un orga­ni­smo diri­gente e una comu­nità poli­tica dove le riu­nioni si con­vo­cano, si svol­gono, ma dove lo spa­zio e l’espressione delle dif­fe­renze fini­scono in una irri­ta­zione della mag­gio­ranza e, con qual­che fre­quenza, in una con­se­guente dele­git­ti­ma­zione dell’interlocutore»- «Non per la prima volta, tu hai rispo­sto a delle obie­zioni poli­ti­che e di merito con un attacco di tipo personale».

I social net­work impaz­zi­scono di paro­die del sipa­rietto. Renzi dopo qual­che ora risponde senza ripen­sa­menti, rin­gra­ziando Cuperlo per il lavoro svolto, negando l’intenzione di offen­dere ma di nuovo un po’ sfot­tic­chiando: «Ci si può sen­tire offesi per­ché uno ti dice che sei livo­roso» ma anche «si può rima­nere con un sor­riso anche se ti danno del fasci­stoide», citando un famoso edi­to­riale dell’Unità dell’era Ber­sani, in cui per la verità l’autore, il pro­fes­sore Michele Pro­spero, aveva defi­nito «fasci­stoide» il lin­guag­gio di Renzi. Sta­volta sono pochi i ren­ziani che difen­dono il segre­ta­rio. Sarà che in molti sono stati eletti dallo stesso listino di Cuperlo.
Ma Renzi tira dritto. A Porta a Porta se la prende con «le litur­gie», «se uno si dimette vuol dire che si è dimesso e il rispetto che gli devo non è una let­tera per dire ripen­saci». E così il rot­ta­ma­tore oggi si sco­pre grande soste­ni­tore dell’obbedienza alla linea di par­tito: in par­la­mento si pos­sono fare «cam­bia­menti» alla legge elet­to­rale, «ma nel Pd si fa quello che ha deciso la dire­zione», «non è che adesso si blocca tutto per le dina­mi­che di cor­rente». Sono avver­titi i depu­tati che, men­tre lui regi­stra il talk tele­vi­sivo, lo aspet­tano alla camera per una riu­nione dei gruppi.

Dove il ber­sa­niano Alfredo D’Attorre ha già annun­ciato invece emen­da­menti alla riforma. Ma la mino­ranza cuper­liana è divisa. Se Ste­fano Fas­sina, che porta ancora addosso i segni delle zam­pate ren­ziane, dice che è «inac­cet­ta­bile la cari­ca­tura di una mino­ranza ran­co­rosa che boi­cotta, e ogni ten­ta­tivo di miglio­rare la posi­zione del Pd viene con­si­de­rato un’intrusione», Mat­teo Orfini, area tur­chi, esclude l’idea di emen­da­menti in aula per ini­zia­tiva «di cor­rente», che rischiano di por­tare «a rotture».

Rot­ture, scis­sioni. Escluse da sem­pre dalla sini­stra Pd, a sua volta divisa in dia­lo­ganti e apo­ca­lit­tici anti­ren­ziani. Un’area uscita al 18 per cento dai gazebo, al 38,4 ai con­gressi degli iscritti. In mino­ranza secca negli orga­ni­smi diri­genti. Verso la quale Renzi, con il vento in poppa, testa le sue migliori bat­tute un po’ bulle e irre­si­sti­bili per i media. Con­vinto che gli appelli all’unità che lunedì i «vec­chi leoni» gli hanno rivolto (Marini, ma anche Vel­troni e Fran­ce­schini) siano pre­oc­cu­pa­zioni di un’altra era.


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