Renzi fa muro sulle preferenze “Sono fuori dall’accordo votato”
LE PREFERENZE non fanno parte dell’accordo votato anche in direzione: nessuno spazio per iniziative non concordate », ammonisce il segretario nei suoi colloqui riservati in vista della riunione di oggi dei membri democrats della commissione affari costituzionali. Insomma, l’apertura di Enrico Letta sulle preferenze viene sonoramente bocciata. Ma su ventuno componenti i renziani sono soltanto otto, quindi l’esito del vertice — in cui si dovranno discutere eventuali emendamenti da presentare domani in commissione — non è affatto scontato. La minoranza è infatti sul piede di guerra e non intende mollare. «Noi — spiega Alfredo D’Attorre — faremo la nostra battaglia alla luce del sole. Se volessimo far fallire la riforma basterebbe un’imboscata con il voto segreto. Gli aut aut di Renzi non servono. Andare alle urne con la legge partorita dalla sentenza della Consulta sarebbe un disastro per la vocazione maggioritaria del Pd. Non conviene neanche a Matteo».
Convinti di farcela, grazie alla sponda con Ncd, Sel e Scelta Civica, i bersaniani stanno preparando tre emendamenti che puntano tutti a far saltare le liste bloccate: preferenze, collegi uninominali, primarie obbligatorie per legge.Ma il muro eretto da Renzi è per ora invalicabile. «I mal di pancia sono naturali — ha detto ieri ai suoi — ma il Pd ha deciso e non si torna indietro: chi vuole riportare tutto sempre a capo non sa quale occasione rischia di farci perdere. Sono le cose per le quali hanno votato milioni di italiani alle primarie del Pd». Il segretario, con una serie di tweet, ieri ha aperto soltanto alla possibilità di eliminare il divieto di candidature multiple. Per ora non ci sono, ma «non mi ci immolo (come ballottaggio, premio, sbarramenti)», cinguetta Renzi assicurando comunque che il Pd «non farà MAI candidature multiple». In effetti, parlando con gli sherpa che per il Pd e Forza Italia stanno seguendo la partita, questa piccola concessione per sbloccare un po’ le liste (e tutelare i leader a rischio) potrebbe passare. Come pure, alla fine del negoziato, non si esclude che lo sbarramento al 5% per chi si coalizza possa scendere al 4% o che la soglia per accedere al premio di maggioranza possa salire verso il 37-38 per cento. A patto però cheil resto marci in fretta. Un interesse questo anche del Quirinale. Nei suoi contatti con Renzi il capo dello Stato avrebbe infatti chiesto di approvare la riforma il prima possibile, possibilmente cercando di tenere unita la maggioranza.
Al segretario del Pd sta invece a cuore portare a casa tutto «il tris» di provvedimenti che fanno partedel pacchetto concordato con il Cavaliere. «La riforma storica — ha ribadito ieri istruendo il suo staff — non è la legge elettorale ma tutto il tris: Senato senza indennità, lotta alle disfunzioni regionali, garanzia del bipolarismo. Su questo dobbiamo battere, altrimenti la gente non capisce il valore straordinario di questo accordo ». Quanto ai tempi, «una settimana fa — ha ricordato il leader dem — eravamo all’incontro con Berlusconi. Oggi abbiamo approvato già un testo base. C’è voluto tempismo, energia, visione». Una visione condivisa nell’altro campo, quello dei berlusconiani. Come fa notare il presidente della commissione affari costituzionali, Francesco Paolo Sisto: «Se l’Italia vuole guarire deve prendere l’antibiotico di un vero bipolarismo. E deve prendere tutta la scatola, non si può scegliere una pasticca sì e un’altra no».
Certo, superare il FUP, il fronte unito delle preferenze, non sarà semplice. Gli alfaniani ad esempio, pur avendo firmato e votato iltesto base, lunedì depositeranno un emendamento “alla tedesca” che introduce il 50% di collegi uninominali e il restante 50% di liste proporzionali con due preferenze, un maschio e una femmina. Sperano su questa “mediazione” di tirarsi dietro tutti gli altri. Lo stesso emendamento potrebbe ricomparire a sorpresa in aula enon è detto che una parte di Forza Italia — con il voto segreto — non si lasci tentare. Nelle file dei deputati forzisti sta infatti crescendo il malcontento verso l’Italicum. L’hanno ribattezzata «la legge dei numeri primi», perché, se Forza Italia non dovesse vincere il premio di maggioranza, nei collegi passerebbero soltanto i 122 capilista. Per i numeri due della lista non ci sarebbe scampo, figuriamoci la sorte dei numeri tre e di quelli a scendere: semplici riempitivi. E non ha rassicurato i più la promessa (o minaccia) fatta da Denis Verdini ai parlamentari: «Cercheremo di mettere i migliori di voi come capilista». Oltretutto anche le donne, a cui è stata promessa l’alternanza di genere, sono sul piede di guerra per lo stesso motivo. «Con questo Porcellum camuffato — sbotta una forzista alla seconda legislatura — o ci mettono capolista o torniamo tutte a casa».
L’altro scoglio sulla riforma è un meccanismo che sta mettendo a punto la minoranza Pd, conl’accordo anche di socialisti e Sel. Sono le primarie o parlamentarie regolate per legge. Ma potrebbero anche essere facoltative, sul modello toscano. E in effetti proprio alla «legge toscana del 2005 sulle primarie» si è richiamato ieri il segretario socialista Nencini, ricevendo gli applausi del congresso di Sel. Insomma il “FUP” è più attivo che mai e sperimenta inediti assi trasversali. E tuttavia anche i sostenitori delle preferenze ammettono che fermare il treno della riforma non sarà semplice. Quando venerdì è stato approvato il testo base, nella barberia di Montecitorio l’udc Ferdinando Adornato confidava a un collega centrista: «Se abbassano lo sbarramento al 4% e alzano la soglia per il premio al 38% la riforma passa in un minuto, La battaglia di bandiera sulle preferenze la faremo, insieme ad Alfano e agli altri, ma dobbiamo dirci la verità: chi se la prende la responsabilità di far fallire questa riforma? Saremmo travolti tutti da Grillo. Tutti, nessuno escluso».
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