Regione nel caos in Piemonte Voto annullato, urne vicine

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TORINO — Al numero 45 di corso Stati Uniti non c’era nessuno. La sentenza che stravolge la vita politica del Piemonte è stata inviata ai diretti interessati per posta elettronica. La motivazione ufficiale, fornita giovedì mattina al termine dell’udienza, attribuiva la scelta alla necessità del collegio giudicante di studiare meglio atti in realtà depositati da settimane. Lo slittamento della decisione a ieri, con conseguente aula deserta, è dovuta in realtà all’assoluta certezza che qualunque fosse stato l’esito, tra i due contendenti, meglio, tra le due fazioni, sarebbero volate botte da orbi, e non in senso figurato.
A questo ci si riduce, dopo quasi quattro anni passati con una spada di Damocle sulla testa, una specie di tortura della goccia cinese che ha paralizzato la vita politica di una intera regione e l’attività di maggioranza e opposizione, unite nella stessa incertezza. La giustizia, penale e amministrativa, ci ha messo molto, troppo tempo per fare il suo giro. «Il Tribunale amministrativo per il Piemonte accoglie il ricorso principale, e per l’effetto annulla l’atto di proclamazione degli eletti, ai fini della rinnovazione della competizione elettorale».
Tutti a casa, in estrema sintesi. Il desiderio espresso a grandi lettere su uno striscione lasciato da «forconi» e affini davanti alla sede del consiglio regionale sta per essere esaudito. Le elezioni regionali del 2010 che a sorpresa vennero vinte da Roberto Cota, il candidato del centrodestra che sfidava Mercedes Bresso, governatrice uscente del Pd, è come se non ci fossero mai state. A questo punto, urge riassunto dell’estenuante vicenda. Quella del 29 marzo 2010 è una lunga notte. I due candidati sono separati da una manciata di schede. Cota vince di un’incollatura, appena 9.372 voti. Un mese dopo, Bresso sembra l’ultimo giapponese nella giungla. Annuncia ricorso, denunciando irregolarità nella presentazione di alcune liste collegate al candidato leghista.
Il 15 luglio di quell’anno, altra notte bianca. Il Tar accoglie il ricorso presentato dalla ormai ex governatrice, Udc e Verdi. Ispirato da Salomone, ordina però il riconteggio delle schede contestate e soprattutto rimanda alla giustizia ordinaria civile l’esame della più «dubbia» delle liste, i Pensionati per Cota, portatori di un tesoretto da 27.797 voti e di un segretario-fondatore, Michele Giovine, da tempo indagato dalla procura per aver falsificato le firme necessarie alla candidatura. Dopo un balletto di ricorsi, nell’ottobre del 2010 il Consiglio di Stato annulla la sentenza del Tar ma innesca una mina sotto la poltrona di Cota, indicando con chiarezza un percorso da seguire: la palla tornerà al tribunale amministrativo, ma solo dopo la sentenza definitiva della giustizia penale, della quale si dovrà tenere conto. Il conto alla rovescia è cominciato.
La condanna in primo grado per Giovine arriva nel luglio 2011. Lui, ineffabile, continua a comparire intorno a Cota, nel ruolo del più classico dei convitati di pietra. Fino all’ultimo ha vissuto con una certa intensità la sua stagione da consigliere regionale, come attestato dai magistrati, mettendo in nota spese biglietti per lo stadio e il night club, soggiorni alle Canarie e Malta, 16mila euro di ristoranti. Già, intanto è arrivata a fine corsa anche l’inchiesta della procura sulle spese folli della Regione, che vede indagati 43 consiglieri quasi tutti del centrodestra e certo non rafforza la giunta di Cota. Il 13 novembre del 2013 la Cassazione rende definitiva la sentenza della giustizia penale.
Dunque era chiaro che la storia sarebbe finita dov’era cominciata, in questa palazzina liberty che ospita la sede del Tar regionale. Cota non l’ha presa bene, e non poteva essere altrimenti. «Un golpe. Una sentenza vergognosa, siamo in un Paese di matti. Hanno annullato il voto nonostante non fosse in dubbio il risultato, e dopo quattro anni». Il governatore lamenta la mancata considerazione alle liste tarocche schierate con Bresso, per le quali però, sostiene la controparte, non è mai stato presentato ricorso al Tar. La Lega Nord annuncia una manifestazione di protesta, il centrodestra piemontese solidarizza ma con un certo distacco. Il tempo trascorso tra la presentazione del ricorso e la sentenza è una abnormità italiana che rende amara la vittoria di Mercedes Bresso. «In Italia non si può avere giustizia in materia elettorale», dice con fatalismo. «Ho vinto, ma politicamente non significa nulla, questo non è giusto». La sentenza è esecutiva, ma ci saranno altri sussulti. Cota annuncia ricorso al Consiglio di Stato, che però aveva già rimesso la decisione di merito al Tar. In caso di accoglimento del ricorso passeranno venti giorni, almeno altri 45 giorni per l’esame in Consiglio e in linea teorica ce ne sarebbero altri 90 per sciogliere l’assemblea. Ma l’urgenza del provvedimento, indicata proprio dal Consiglio di Stato, attribuisce al prefetto la possibilità di agire per conto proprio, perché una nuova melina potrebbe allontanare la possibilità del voto accorpato con le Europee, causando spese ulteriori delle quali nessuno sente il bisogno. Quindi come andrà a finire? Ieri pomeriggio, dopo la mesta conferenza stampa, uno degli avvocati di Cota ha risposto in modo chiaro, allargando le braccia. «Game over».
Marco Imarisio


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