Palazzo Chigi e la clausola di salvaguardia

by Sergio Segio | 20 Gennaio 2014 7:50

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ROMA — Lo chiamano «Porcellinum». Renzi si fregia di aver trovato una legge, un risultato, dopo anni di indecisioni. Loro, i lettiani, dicono che è una legge bruttina, che il Pd farà fatica a digerirla, che sarà altrettanto complicato spiegare agli italiani che le liste restano bloccate, che tutto questo è frutto di un’intesa con il Cavaliere.
Letta resta in silenzio, non applaude, è anche irritato, e sempre di più, sul piano personale. Renzi lo prende in giro sulla stampa, nelle interviste, non gli risponde al telefono. Sarebbe anche troppo se i lettiani, i parlamentari legati al premier, non commentassero in modo critico le mosse del segretario del partito.
Ancora per qualche giorno il presidente del Consiglio resterà a guardare. A suo modo di vedere quando verrà siglato il Contratto di coalizione si farà un esame comparato dei risultati ottenuti: il suo lavoro sul programma di governo e quello di Renzi sulla legge elettorale. Ma se la pensa come il senatore Francesco Russo, o come il deputato Marco Meloni, che con lui hanno una consuetudine e un’affinità politica non passeggera, allora è lecito immaginarlo più che accigliato.
Il premier attende la direzione del partito di oggi e con una certa trepidazione. Teme che Renzi abbia osato troppo per partorire un sorta di topolino, una versione al ribasso del Porcellum e che il Pd non lo digerisca. Spera però, è costretto a farlo, che fili tutto liscio, che Renzi riesca a governare i primi segnali di dissenso, in crescita non solo nella sinistra del partito.
Ovviamente il presidente del Consiglio non sta solo a guardare. Se sul merito della legge elettorale pare non aver voce in capitolo, sui tempi e sui modi dell’intesa sulle riforme sembra abbia voglia di dire la sua. Potrebbe farlo Alfano per lui, visto che il premier rivendica un distacco dal tema delle riforme in omaggio all’autonomia delle Camere e dunque dei partiti, ma di certo a Palazzo Chigi si va facendo strada la necessità di una sorta di clausola di salvaguardia dell’accordo che Renzi si appresta a siglare e intestarsi. In estrema sintesi: approvazione della legge elettorale «dopo» la prima lettura delle riforme costituzionali; un modo per chiudere in modo definitivo con qualsiasi tentazione di ritorno alle urne prime del 2015.
Lo vedremo nelle prossime ore, mentre il Contratto di coalizione va prendendo corpo. E su questo punto di sicuro Letta si attendeva di più dalla segreteria di Renzi: il Job Act al momento è rimasto piuttosto indefinito; si prenderà qualcosa, ma resta la sensazione che a Palazzo Chigi avessero pensato ad un contributo di idee e proposte programmatiche più corposo di quello che finora è stato espresso dalla squadra che Renzi ha scelto per guidare il Pd.
Non solo: mentre si formano i capitoli dedicati alla competività, al lavoro, alle politiche fiscali, si fa strada l’ipotesi di lasciare fuori dal Contratto che verrà siglato, se tutto filerà liscio, il tema dei diritti civili. Visti i toni con cui Renzi li ha promossi (prendere o lasciare) e le reazioni immediate del partito di Alfano, che ha minacciato la crisi di governo, allora è forse preferibile escluderli da un’intesa programmatica. Su questo Letta sta riflettendo. È già tanto se una mediazione, seppure al ribasso, almeno secondo Palazzo Chigi, si trova sulla legge elettorale. E su tutti gli altri punti che verranno inclusi e sottoscritti in quell’impegno per il 2014. Sulle unioni civili, o su altro, si vedrà alle Camere.
Marco Galluzzo

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