by Sergio Segio | 19 Gennaio 2014 9:14
OLTRE 54 aziende al giorno, due ogni ora. Più che un bilancio, è un drammatico bollettino di guerra il resoconto dei fallimenti nel 2013 tracciato da Cribis D&B, società del gruppo Crif (il database creditizio italiano).
L’anno – in base al rapporto che Repubblica è in grado di anticipare – si è chiuso con 14.296 nuovi crac, il 14% in più rispetto al 2012 e il 54% in più rispetto al 2009, anno nel quale la recessione globale ha cominciato ad affondare i suoi colpi sull’economia italiana. Da allora complessivamente hanno portato i libri in tribunale 59.570 imprese, con un record negativo evidenziato proprio nell’ultima parte del 2013.
«C’è stato qualche timido segnale di miglioramento negli indicatori dell’economia italiana, ma non è bastato: il conto dei fallimenti mostra una situazione ancora molto preoccupante per la situazione delle imprese — spiega Marco Preti, amministratore delegato di Cribis D&B — . Dopo cinque anni caratterizzati da un trend in costante peggioramento, il quarto trimestre del 2013 registra un nuovo picco, con la chiusura di 4.257 aziende, un numero mai così alto nelle rilevazioni trimestrali degli ultimi quattro anni. Segno che la crisi sta mettendo a dura prova la capacità di resistenza del tessuto produttivo italiano».
Negli ultimi tre mesi dell’anno i fallimenti hanno avuto un’impennata del 14% rispetto allo stesso periodo del 2012 e addirittura del 39% rispetto al 2009. «Purtroppo non sono dati sorprendenti per noi — continua Preti — perché già da tempo avevamo a disposizione un altro indicatore che ci aveva messo in allarme: l’andamento dei pagamenti commerciali, che rappresenta la fotografia più affidabile ed esaustiva dello stato di salute delle aziende. A settembre avevamo osservato che oltre il 15% delle imprese italiane pagava ormai con oltre trenta giorni di ritardo, un aumento del 150% rispetto a settembre 2012. In alcuni settori, come le costruzioni, l’aumento
è stato di oltre il 170% rispetto allo stesso periodo del 2012. Il ritardo nell’onorare i debiti dimostra che una parte delle aziende italiane non riesce a sopravvivere alla crisi così all’inizio rimanda i pagamenti per poi arrivare alla chiusura volontaria o al fallimento».
A livello geografico questo indicatore della recessione si è manifestato in modo più evidente nelle regioni ad alta densità imprenditoriale: quindi in Lombardia, dove hanno chiuso oltre 3.200 aziende, pari al 22,6% del totale nazionale; nel Lazio con circa 1.500 fallimenti (10,7%); in Veneto con quasi 1.300 chiusure (8,9%). Solo in Lombardia negli ultimi cinque anni si sono arresi oltre 13mila imprenditori.
Edilizia e commercio all’ingrosso sono i macrosettori più colpiti: i negozianti, tra le vendite all’ingrosso e quelle al dettaglio, hanno chiuso oltre 3.900 realtà; la crisi del settore immobiliare si è fatta sentire, oltre che nell’edilizia (2800 fallimenti), anche nella chiusura degli esercizi specializzati nella locazione, con quasi 800 fallimenti. Nel comparto produttivo, spiccano i 621 fallimenti dell’industria manifatturiera e del metallo ; i 304 del settore macchinari industriali e computer; i 261 nell’industria del mobile; i 234 nell’alimentare; i 230 del tessile e abbigliamento.
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