Napolitano e i rischi di un Letta bis
Perché implicherebbe una procedura (dimissioni del premier, consultazioni al Quirinale, reincarico, negoziati con altre consultazioni a Palazzo Chigi, voto di fiducia delle Camere, reinsediamento) che potrebbe essere molto insidiosa. Quando infatti si apre una crisi — e questo percorso, sia pure assistito e forte di garanzie, la configurerebbe — non si sa mai come la si chiude. Una prospettiva che forse indurrà il capo del governo a bruciare le tappe contrattando entro pochi giorni alcuni innesti alla propria squadra (un turn over di qualche sottosegretario e due o tre ministri), calibrando nel contempo un «patto di programma» e chiudendo infine la partita con un passaggio in Parlamento. Così da dare al Paese il segno di una svolta che tenga conto degli equilibri cambiati dentro la coalizione e garantirsi una ripartenza seria ed energica, non minimalista. Ecco lo scenario che tiene in allarme Giorgio Napolitano, il quale è pronto a essere chiamato in causa qualora si materializzi la prima o (peggio, per lui) la seconda ipotesi. Il presidente, è logico, non incoraggia o scoraggia nulla, né in un senso né nell’altro. Questi sono spazi di libertà della politica. E, nell’incertezza generale, qualsiasi suo intervento potrebbe essere interpretato come un condizionamento indebito e alimentare nuove tensioni. Perciò se ne tiene fuori. Ciò che gli sta a cuore, e l’ha ripetuto a ogni interlocutore presentatosi sul Colle, è l’obiettivo di fondo, cioè l’impegno a «fare le cose». Che sono poche, ma fondamentali e non più rinviabili: mettere subito in cantiere una riforma della legge elettorale coerente con la parte «prescrittiva» del pronunciamento della Consulta con cui è stato bocciato il Porcellum (coerenza sulla quale il capo dello Stato è tenuto a vigilare) e, in parallelo, lavorare per un riassetto del bicameralismo paritario e per una revisione del Titolo V della Carta. Da ieri quel che accade in casa Pd, architrave della maggioranza, ha reso più scivoloso e difficile un quadro già complesso, aumentando le sue preoccupazioni. Un clima di reciproci sospetti sfociato in uno strappo che potrebbe non ricomporsi e mettere a rischio l’iniziativa presa da Matteo Renzi, accolta da Napolitano come «una novità molto importante». Insomma, il processo costituente che ha in tutti i modi incoraggiato sembra avviarsi davvero. Ma quel che va monitorato di ora in ora, e il Quirinale lo fa, è che un governo oggettivamente affaticato dalle prove dei mesi scorsi non trovi adesso sulla propria strada altri ostacoli. Magari buttati lì non per semplici distinguo tecnicistici. A stroncare questo tentativo basterebbe, ad esempio, una studiata rincorsa di emendamenti o la pretesa di usare l’arma del voto segreto in Aula. Prospettive di una paralizzante «ammuina», per contrastare la quale il presidente, che questo governo ha tenuto a battesimo accettando la rielezione, è in continuo contatto con Palazzo Chigi e non solo.
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