by Sergio Segio | 20 Gennaio 2014 13:49
Così dopo l’iniziativa del 2013 Armas para la vida[1], che ha dato la possibilità ai cittadini che consegnano un’arma di riceverne in cambio una di conoscenza, come un computer portatile, o una per la mobilità sostenibile[2], come una bicicletta, ora “L’obiettivo non è diventare il Paese del fumo libero, ma tentare un esperimento al di fuori del proibizionismo, che è fallito, – ha spiegato Mujica[3] – per riuscire a strappare un mercato importante ai trafficanti di droga[4]. La tossicodipendenza è una malattia, ma guai a confonderla col narcotraffico” che può essere bloccato solo facendo dell’Uruguay “il primo Paese al mondo a legalizzare e a gestire produzione e vendita delle droghe leggere fissando le regole del nuovo mercato, compreso il prezzo e il divieto di vendita agli stranieri per evitare la nascita di un turismo della marijuana”.
Qui i cittadini con più di 18 anni potranno così entro la seconda metà del 2014 comprare una dose mensile di “erba” ad un prezzo relativamente basso, un dollaro al grammo (l’equivalente di 0,75 euro), circa il 30% in meno degli attuali valori sul mercato illegale. La legge prevede inoltre la creazione di un Istituto di Regolamentazione della Cannabis (Inc) che concederà licenze per la coltivazione delle piante da parte di singoli (massimo sei piante a testa), associazioni di consumatori (massimo 45 soci e 99 piante) e cooperative private controllate dallo Stato, che venderanno la marijuana attraverso una rete di farmacie autorizzate, per un massimo di 40 grammi mensili a persona. Per rendere possibile il controllo del mercato della marijuana sarà creato anche un registro di consumatori, la cui privacy sarà garantita dalle norme già esistenti in materia di protezione dei dati. Contemporaneamente le pene previste per il commercio illegale saranno rese molte più dure. Una première a livello mondiale, quindi, che sceglie un modello diverso da quello di altri Paesi come l’Olanda o di alcuni Stati americani, come California e Colorado e dove il monopolio statale, assicurano, andrà di pari passo con campagne pubbliche che mettano in guardia dagli eccessi del consumo, simili a quelle che avvengono con il tabacco.
Il sì definitivo alla nuova legge è arrivato il 10 dicembre scorso con il voto favorevole del Senato e i soli 16 voti, su un totale di 30 seggi, del Frente Amplio, la coalizione di sinistra al Governo di Montevideo, e nonostante l’opinione contraria di oltre il 60% degli uruguaiani certificata da alcuni sondaggi. L’opposizione, da parte sua, ha sostenuto che la legge approvata rappresenta una chiara violazione dei trattati internazionali in materia di droghe, presenta grosse difficoltà di implementazione e potrebbe risultare incostituzionale, perché prevede la creazione di un organismo statale, l’Inc appunto, a meno di un anno dalle elezioni politiche e presidenziali previste per novembre del 2014, il che è proibito dalla carta magna uruguaiana. Anche se lo stesso Mujica ha ammesso che “forse l’Uruguay non è pronto per questa esperienza”, solo qualche giorno fa Umberto Veronesi, direttore scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano[5] (Ieo), ha voluto ricordare come “in Italia, dove una legge sciagurata ha riempito le prigioni parificando le droghe leggere a quelle pesanti, non ci resta che far tesoro della lezione di realismo che ci offre il piccolo e democratico Uruguay, dove si è pensato a ridurre i danni, e non a perseguitare i singoli”.
Intanto Torino, da qualche giorno, sembra aver fatto proprio il segnale che arriva da oltre oceano, diventando la prima città d’Italia ad aver votato un documento per la liberalizzazione della marijuana. Il provvedimento è stato approvato il 14 dicembre dal Consiglio comunale di stretta misura: 15 voti a favore (Sel, mezzo Pd, Idv, 5 Stelle), 13 contrari e 6 astenuti, fra cui il sindaco Piero Fassino. Anche se si tratta di un via libera senza ricadute pratiche immediate, è politicamente rilevante perché invita il Parlamento ad affrontare il passaggio da un impianto di tipo proibizionistico a uno di tipo legale della produzione e della distribuzione delle droghe cosiddette leggere, con particolare riferimento alla cannabis e ai suoi derivati. È la prima volta che si va oltre l’ok all’utilizzo della cannabis a fini terapeutici chiedendo anche l’abolizione della legge Fini-Giovanardi, ad oggi una delle principali cause del sovraffollamento delle carceri[6].
Del resto non tutti sanno che la cannabis legale cresce anche in Italia, ma per il momento solo nell’area industriale di Rovigo. Al quarto piano di un piccolo palazzo tra la statale e l’autostrada, il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura[7] (Cra) ha allestito una serra con dodici varietà diverse di marijuana. “È dal 1994 che qui portiamo avanti sperimentazioni sulla canapa e sulle sue varie applicazioni”, ha spiegato[8] Gianpaolo Grassi, ricercatore del Cra, e in questo momento di euforia antiproibizionista, il lavoro del Consiglio sta ottenendo risalto anche internazionale “visto che le richieste per le varietà selezionate da noi arrivano anche da Colorado, Arizona, California. E anche dall’Uruguay”, ha raccontato[9] il ricercatore. “Da millenni – ha puntualizzato[10] Grassi – si conoscono le applicazioni in campo medico della canapa” tanto che dal 2007 anche in Italia le tabelle ministeriali dei farmaci contemplano i derivati della cannabis. Sei regioni, Toscana, Puglia, Friuli, Veneto, Marche e Sardegna hanno legiferato in materia di medicinali a base di cannabinoidi, garantendo il rimborso di tutte le cure per i pazienti affetti da Aids[11], cancro, sclerosi multipla o altre patologie caratterizzate da dolori articolari o neurologici. Per questo il Consiglio Nazionale delle Ricerche[12] (Cnr) ha promosso una proposta di legge per avviare coltivazioni protette di cannabis in Italia, allo scopo naturalmente di rifornire le Aziende Sanitarie Locali che per l’approvvigionamento all’estero dei derivati della canapa sostengono costi enormi. “Esistono purtroppo ancora troppe resistenze rispetto alla canapa e a quello che può fare alle persone che soffrono – ha concluso[13] Grassi – e pensare che un tempo l’Italia era il primo produttore di canapa in Europa. Sì, non era considerata una droga. Ma facendo un’analisi tra costi e benefici, appare evidente l’insensatezza dell’approccio proibizionistico”.
Alessandro Graziadei[14]
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