L’offertissima di Yanukovich in Ucraina, dallo scontro finale alle larghe intese?

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Primo mini­stro Arse­niy Yatse­niuk, luo­go­te­nente della Tymo­shenko. Vice primo mini­stro, con delega agli affari uma­ni­tari, Vitali Kli­tschko, il poli­tico dell’opposizione che gode attual­mente di mag­giore con­senso, popo­lare e di stampa. E poi, ancora: dispo­ni­bi­lità a una riforma costi­tu­zio­nale che rie­qui­li­bri i rap­porti tra par­la­mento e pre­si­denza, a favore del primo. E revi­sione – così par­rebbe – del pac­chetto di leggi “anti-protesta”, tanto severe da restrin­gere il peri­me­tro dello spa­zio demo­cra­tico, appro­vate la scorsa settimana.

L’offerta fatta ieri sera dal pre­si­dente Vik­tor Yanu­ko­vich ai mem­bri dell’opposizione, nel terzo round di nego­ziati sblocca-crisi, con­fi­gura la nascita di un governo di unità nazio­nale che tra­ghetti l’Ucraina verso le ele­zioni pre­si­den­ziali, in calen­da­rio, fino a prova con­tra­ria, a ini­zio 2015.

Quella del capo dello stato è una mossa che lascia in parte sor­presi, se si va a guar­dare quello che ieri è suc­cesso a Kiev e nel resto del paese. Nella capi­tale gli atti­vi­sti di Spilna Prava – un seg­mento movi­men­ti­sta della pro­te­sta – hanno par­zial­mente occu­pato il mini­stero dell’energia, dopo che venerdì ave­vano fatto lo stesso con quello dell’agricoltura. È poi arri­vata la noti­zia di altri due morti (sal­gono in tutto a cin­que), un mani­fe­stante rima­sto ferito negli scon­tri dei giorni scorsi e un poliziotto.

Fino alle prime ore dell’alba ci sono stati inol­tri nuovi scon­tri in via Gru­she­v­skogo e l’opposizione ha soste­nuto che Yanu­ko­vich era pronto a votare lo stato di emer­genza. Tanto che il coor­di­na­mento di Euro­Mai­dan, così s’è auto­de­fi­nita la pro­te­sta dall’inizio di tutta que­sta sto­ria, il 21 novem­bre scorso, avrebbe con­si­gliato gli ucraini di munirsi di “armi legali” allo scopo di pre­si­diare piazza dell’Indipendenza, il campo base di dimo­stranti. Così ha rife­rito il sito del Kyiv Post. Quanto al resto del paese, in una doz­zina di città dell’ovest, dove l’opposizione riscuote il grosso dei suoi voti, sono pro­se­guite le pro­te­ste davanti alle sedi dei gover­na­tori regio­nali (sono nomi­nati dal pre­si­dente). Alcune sono state occu­pate nei giorni scorsi. Insomma, ieri tirava un’aria ancora più brutta di quella dei giorni scorsi. Da scon­tro finale.

La mossa di Yanu­ko­vich ribalta il piano e risulta meno spiaz­zante, se si con­si­dera che, sem­pre ieri, hanno par­lato quelli che pro­ba­bil­mente sono i due oli­gar­chi più influenti del paese. E si sa che gli oli­gar­chi sono i veri arbi­tri dell’Ucraina. Rinat Akh­me­tov, il padrone asso­luto di Done­tsk (la più grande città dell’est ucraino), vicino al Par­tito delle regioni di Yanu­ko­vich, ha fatto dif­fon­dere sul sito della sua società, la System Capi­tal Mana­ge­ment, un comu­ni­cato in cui perora la solu­zione poli­tica e paci­fica della crisi.

S’è col­lo­cato sulla sua scia Petro Poro­shenko, l’altro grande magnate, ex mini­stro di Yanu­ko­vich pas­sato su posi­zioni filo-europee, avver­tendo che senza un com­pro­messo l’Ucraina potrebbe col­las­sare. È molto pro­ba­bile che Yanu­ko­vich, che nella serata di ieri pare abbia rice­vuto una dele­ga­zione di tycoon, abbia ascol­tato il loro con­si­glio, facendo un’apertura di un certo respiro all’opposizione.

Già, l’opposizione. Nel momento in cui chiu­diamo il gior­nale non sap­piamo come Yatse­niuk e Kli­tschko, oltre al capo della destra radi­cale Oleh Tyah­ny­bok, il terzo espo­nente del fronte anti-Yanukovich, abbiano rea­gito alla pro­po­sta della pre­si­denza. Qual­che sito scri­veva che sareb­bero d’accordo sullo schema trac­ciato, anche se non pre­vede l’obiettivo prin­ci­pale, loro e dell’intero movi­mento di pro­te­sta: le dimis­sioni di Yanu­ko­vich e il voto pre­si­den­ziale anti­ci­pato. Ma, rea­li­sti­ca­mente par­lando non pote­vano avere tutto, né averlo subito. Anche se c’è una parte di piazza che pro­te­sterà con­tro il com­pro­messo e sosterrà che sono caduti nella tela di Yanu­ko­vich, che vuole coop­tarli e poi farli frig­gere, l’accordo sul power sha­ring sem­bra una scelta obbli­gata. Que­sta opzione, che spa­lanca sce­nari pes­simi, non va ancora esclusa.


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