Le guerre di potere sotto la neve

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Tutto è stato deciso il quat­tro luglio del 2007, a Gua­te­mala City. Lì il Comi­tato olim­pico inter­na­zio­nale si riunì, chia­mato a sce­gliere la loca­lità a cui asse­gnare l’organizzazione dei gio­chi olim­pici inver­nali del 2014. Tre le città in lizza: l’austriaca Sali­sburgo, la sud­co­reana Pyeon­g­chang e la russa Sochi. Che prevalse.

Deci­siva la pre­senza di Vla­di­mir Putin in Gua­te­mala. Ci mise la fac­cia, tanto teneva alla cosa. Si rivolse ai mem­bri del comi­tato in inglese — non lo fa mai — dicendo che Sochi sarebbe diven­tato lo spec­chio della nuova Rus­sia. Garantì effi­cienza e impe­gno, con­cluse l’intervento con un paio di frasi in fran­cese. Riu­scì a essere tal­mente con­vin­cente da ribal­tare l’esito di una vota­zione che stava con­ver­gendo su Pyeongchang.

In quell’occasione Putin tirò fuori anche la cifra che avrebbe messo sul piatto per Sochi: dodici miliardi di dol­lari. Un bluff cla­mo­roso, se è vero che oggi, a lavori con­clusi, s’è dila­tata fino a sfon­dare il tetto dei cin­quanta miliardi, su cui la stra­grande mag­gio­ranza dei cal­coli tende a uni­for­marsi. Mai un’olimpiade, che fosse estiva o inver­nale, era costata tanto. Il pri­mato di Pechino 2008, qua­ranta miliardi, sem­pre di dol­lari, è stato fran­tu­mato. Quanto ai pre­ce­denti gio­chi inver­nali, a Van­cou­ver, ci si fermò sui dieci miliardi. Ad ogni olim­piade, del resto, tra le pre­vi­sioni ini­ziali e l’esborso finale, c’è sem­pre una note­vole dif­fe­renza. In que­sto caso, però, è impres­sio­nante. I costi si sono quasi quintuplicati.

Ma per­ché tutta que­sta mon­ta­gna di soldi? Diversi i motivi. Il primo sta nel fatto che, come dicono Arnold van Brug­gen e Rob Horn­stra, un cro­ni­sta e un foto­grafo olan­desi che su Sochi hanno dato vita a un eccel­lente lavoro di «gior­na­li­smo lento», tra­va­sato nel sito the?so?chi?pro?ject?.org, que­sti saranno dei «gio­chi olim­pici sub­tro­pi­cali». Con tale espres­sione inten­dono sot­to­li­neare che il clima di Sochi, appol­la­iata sul Mar Nero e rino­mata come luogo di vil­leg­gia­tura estiva già ai tempi dell’Urss, è poco adatto a ospi­tare le disci­pline inver­nali. È così che Putin, che lì ha la sua dacia e che dun­que per­ce­pi­sce l’olimpiade anche come una que­stione di pre­sti­gio per­so­nale, oltre a uno stru­mento con cui pom­pare la gran­deur russa, ha dovuto let­te­ral­mente por­tare la neve in riva al mare. Nei giorni dei gio­chi ci saranno cin­que­cento can­noni che spa­re­ranno neve arti­fi­ciale, oltre a quella, vera, che è stata tra­spor­tata dalle vicine alture del Cau­caso. Ne sono stati stoc­cati 700mila metri cubi.

Tutto que­sto ha un costo. Infi­ni­ta­mente infe­riore, tut­ta­via, della rea­liz­za­zione del vil­lag­gio olim­pico, degli impianti, dell’arena prin­ci­pale e di tutto quello che serve a garan­tire il per­fetto svol­gi­mento della ker­messe. Infra­strut­ture com­prese. Sono stati costruiti 367 chi­lo­me­tri di strade asfal­tate e due­cento di fer­ro­vie, cen­to­cin­quanta di gasdotti, oltre a un nuovo attracco por­tuale e a una sta­zione fer­ro­via­ria all’ultimo grido, che col­lega Sochi ai monti cau­ca­sici, dove si terrà una parte delle gare in agenda, in strut­ture tirate su ex novo o riammodernate.

Busi­nes­sweek, sito della galas­sia Bloom­berg, rife­ri­sce che solo que­sto tratto di strada fer­rata, un’opera estre­ma­mente com­plessa dal punto di vista inge­gne­ri­stico, ha richie­sto quasi nove miliardi di dol­lari. Que­sto incre­di­bile tram­bu­sto ha por­tato Sochi a essere in que­sti anni il più grande can­tiere al mondo. Si stima che siano stati impie­gati in tutto cen­to­cin­quan­ta­mila lavo­ra­tori. L’altra ragione a monte dell’esorbitante fat­tura olim­pica è la cor­ru­zione, fac­cenda che in Rus­sia non è affatto di poco conto. Lo scorso luglio Boris Nem­tsov, espo­nente dell’opposizione libe­rale, ha dif­fuso un rap­porto su maz­zette e favori dispen­sati nei can­tieri di Sochi. Ma al di là delle sue accuse, che non hanno avuto grande eco, il tema è stato reale.

Già nel 2010 Dmi­try Med­ve­dev, oggi primo mini­stro e allora pre­si­dente, chiese alla pro­cura gene­rale di aprire un’indagine su Vla­di­mir Lesh­che­v­sky, alto fun­zio­na­rio del Crem­lino accu­sato di estor­sione da Valery Moro­zov, potente impren­di­tore del ramo delle costru­zioni, con buoni agganci nel governo e qual­che affare in ballo a Sochi. L’inchiesta è stata archi­viata, ma a Moro­zov sarebbe stato con­si­gliato di non rimet­tere piede in Rus­sia. Oggi vive a Lon­dra, in esi­lio. Via dalla Rus­sia è pure Akh­med Bila­lov, ex mem­bro del comi­tato olim­pico, che aveva otte­nuto l’appalto per la costru­zione del tram­po­lino del salto con gli sci. È stato accu­sato e poi con­dan­nato per appro­pria­zione inde­bita. Di qual­che mese di un suo avve­le­na­mento. Cor­ru­zione, guerra tra oli­gar­chi o tutte e due le cose insieme?


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