L’asse dello scontento rischia di favorire l’offensiva di Grillo
Più che sicuro della propria forza, il leader del Movimento 5 Stelle appare disperato dalla prospettiva di ritrovarsi ai margini di giochi che per gli altri partiti forse significano rilegittimazione; per lui la sconfitta e la certificazione dell’isolamento politico. Arriva a proporre la messa in stato d’accusa di Giorgio Napolitano e si precipita nella capitale dai suoi parlamentari perché fiuta la diaspora interna.
Il vicepresidente grillino della Camera, Luigi Di Maio, ha spiegato che decisioni come quella presa sono «a maggioranza»: a conferma che non c’è unanimità nel M5S. Anche perché l’attacco al presidente della Repubblica parte dalla tesi secondo la quale «fa il premier»; e soprattutto «spalleggia questa legge elettorale incostituzionale». Ma c’è da chiedersi se l’iniziativa non finisca per rafforzare Napolitano; e per imprimere, paradossalmente, una spinta alle riforme. Grillo si inserisce con il suo impeachment da ultima spiaggia in una situazione ancora ingarbugliata. Sembra difficile che il patto tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi possa saltare: anche se la minoranza del Pd e il nuovo centrodestra di Angelino Alfano, oltre ad altri partiti minori, chiedono modifiche alla bozza.
La trattativa implica tensioni e frustrazioni diffuse e trasversali. E dunque non esclude la possibilità di scarti e strappi. Il fatto che il ministro delle riforme, Gaetano Quagliariello, giudichi «pressoché impossibile» la prospettiva di elezioni anticipate a maggio, è indicativo. Vuol dire che c’è ancora, nella stessa coalizione di governo, chi accarezza la fine rapida della legislatura: per quanto improbabile possa apparire. La discussione rimane ancorata al significato da attribuire alla riforma elettorale.
Se davvero si fa, il passo successivo saranno le urne oppure altri cambiamenti istituzionali? La regìa del Quirinale diventa comunque essenziale. E la difesa compatta che il presidente riceve dai partiti e l’attacco di quello grillino, sono la conferma implicita di come sia uno dei potenziali vincitori di questa fase; e il punto di riferimento nei prossimi mesi. Tra l’altro, Napolitano accoglie la denuncia del M5S con un laconico: «Faccia il suo corso». L’impressione diffusa, peraltro, è che si tratti di una mossa propagandistica di Grillo, tesa a dimostrare che il movimento esiste.
Sia politicamente, sia dal punto di vista della Costituzione, la vicenda appare così strumentale da lasciare il tempo che trova. Il problema non è Grillo: sono i rischi di collisione tra l’asse Berlusconi-Grillo e Palazzo Chigi; e tra chi vuole la riforma, anche modificandone alcuni aspetti, e quanti possono essere tentati di votare contro a scrutinio segreto. Rimangono aspetti irrisolti, avverte il Ncd. Ma anche nella minoranza del Pd e soprattutto dentro FI esiste un fronte dello scontento. Il ministro Dario Franceschini ammonisce che se l’operazione fallisce, si «regala la vittoria a Grillo». Insomma, come spauracchio il leader del M5S funziona ancora. Evocarlo così, però, fa capire che le certezze della maggioranza non sono così granitiche.
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