L’Aquila, spunta la tangente da un milione

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L’AQUILA — Una tangente da un milione di euro destinata a tre politici. Soldi del terremoto usciti dalle casse del Comune dell’Aquila, versati per un lavoro durato appena 20 giorni (i puntellamenti di palazzo Carli). Una mazzetta nascosta da una fattura “truccata”, necessaria per far finire i soldi su un conto “fittizio”, il conto di “servizio” di una banca, la Banca popolare di Verona. «È stato utilizzato un giro contabile tra l’azienda, la banca e il Comune per eludere la tracciabilità obbligatoria dell’operazione
e far arrivare soldi su quel conto…», scrive la squadra mobile in una informativa. E da lì, il milione di euro ha preso tre destinazioni diverse, destinazioni su cui la polizia sta per mettere le mani. È questa la svolta nell’inchiesta sulle tangenti sulla ricostruzione de L’Aquila.
Ed è ancora una volta l’imprenditore
Daniele Lago, titolare della Steda spa — società a caccia di appalti nella ricostruzione dell’Aquila — a svelare la tangente da un milione di euro. Una confessione fatta questa volta non alla Procura ma al suo socio nel suo affare aquilano, a Cesare Silva. «Lago mi disse: lo giuro sui miei figli… io le posso dire pure come li ho cacciati i
soldi: trecento, trecento e duecento… — ha messo a verbale Silvia davanti al procuratore Fausto Cardella e ai sostituti David Mancini e Antonietta Picardi — Io, anche per capire la veridicità di quanto affermava gli ho chiesto: ma hai cacciato ottocento mila euro per che cosa? Lui ha ribattuto: c’erano una serie di promesse di lavori, mi avevano garantito degli appalti. Io ho risposto che ottocento mila euro erano tanti soldi. Lui testualmente ha replicato: ma di che stiamo parlando… È appena l’un percento. … Mi ha anche detto che oltre agli ottocentomila
euro si era impegnato a fare gratis il palazzetto dello sport, ma che poi è andato tutto a monte perché hanno arrestato una di queste persone che a dire di Lago è molto importante…».
E mentre l’inchiesta sulla mala- ricostruzione continua, la città, cinque anni dopo il sisma, è in ginocchio. Le dimissioni del sindaco dell’Aquila Massimo Cialente hanno avuto l’effetto di un detonatore. Un effetto a catena: l’inchiesta che fa cadere il Comune e le dimissioni del primo cittadino che trasformano le istanze della città in disperazione.
Ieri, il direttore della Confcommercio dell’Aquila, Celso Cioni si è barricato nel bagno della sede locale di Bankitalia con una tanica di benzina, minacciando di darsi fuoco. Ci sono volute alcune ore e l’intervento del prefetto per convincerlo desistere. «È stato l’unico modo per richiamare l’attenzione su 300 negozi del centro cittadino che hanno dovuto chiudere soffocati dalla stretta del credito e da questo maledetto terremoto. Qui siamo in guerra ma lo Stato ci tratta come contribuenti normali».


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