Lampedusa a Sant Pauli

by Sergio Segio | 10 Gennaio 2014 8:14

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Alla mani­fe­sta­zione «Lam­pe­dusa ad Amburgo», il 2 novem­bre scorso, c’erano oltre 10 mila per­sone, a dimo­strare come la que­stione dei diritti fon­da­men­tali vio­lati sia in grado di mobi­li­tare ampi set­tori della società civile. Un’altra grande mani­fe­sta­zione è pro­gram­mata ad Amburgo ai primi di marzo 2014.
La sto­ria del gruppo «Lam­pe­dusa ad Amburgo» è solo il pezzo più recente dell’Emergenza Nord Africa. All’inizio della pri­ma­vera 2013, essa si è mate­ria­liz­zata a migliaia di chi­lo­me­tri da Lam­pe­dusa e dall’Italia: qui, nella metro­poli por­tuale di Amburgo, città tra le più grandi del Nord Europa, che con l’hinterland arriva a 5 milioni di abi­tanti, quanto l’intera popo­la­zione della vicina Dani­marca. Ad Amburgo gli afri­cani dell’Emergenza sono circa 350, a testi­mo­nianza dei per­corsi di vita negata di migliaia di uomini e donne arri­vati in Ita­lia durante la guerra in Libia nel 2011. Da oltre tre anni vivono in prima per­sona le con­se­guenze di poli­ti­che migra­to­rie e di asilo nazio­nali ed euro­pee basate su con­trollo, mar­gi­na­liz­za­zione e rifiuto.
Sto­rie di vita negate che si somi­gliano, come quella di Ama­dou, ori­gi­na­rio di Bamako, e por­ta­voce del gruppo fran­co­fono che incon­triamo nella Chiesa del quar­tiere St. Pauli. Nove mesi al cen­tro Sant’Anna di Cro­tone e un mese da sen­za­tetto a Roma prima di arri­vare qui. Par­liamo men­tre intorno fini­scono cola­zione e fanno le puli­zie nella Chiesa di St. Pauli, che fino ad un mese fa ospi­tava oltre 80 rifu­giati.
La muni­ci­pa­lità di Amburgo ha ini­zial­mente offerto loro un breve ser­vi­zio tem­po­ra­neo di acco­glienza inver­nale, chiuso già all’inizio di mag­gio, quando le tem­pe­ra­ture qui nel nord Europa vanno ancora sot­to­zero. È stato uno dei primi ten­ta­tivi della muni­ci­pa­lità, a guida social­de­mo­cra­tica, di allon­ta­nare i rifu­giati «volon­ta­ria­mente», negando ser­vizi di acco­glienza di base e richia­man­dosi alle regole di Dublino: i rifu­giati devono rien­trare in Ita­lia, loro primo paese d’ingresso, che deve occu­parsi dell’asilo. La rispo­sta è stata un’azione di pro­te­sta orga­niz­zata davanti al Muni­ci­pio, dove è com­parso lo stri­scione «Non siamo soprav­vis­suti alla guerra della Nato in Libia per venire a morire sulle strade di Amburgo».
La man­canza di ascolto ha con­tri­buito alla nascita del gruppo «Lam­pe­dusa ad Amburgo», che nel tempo si è fatto com­patto, orga­niz­zato e lucido nella riven­di­ca­zione dei pro­pri diritti. Come altri movi­menti di migranti, il gruppo chiede acco­glienza, diritto alla casa, al lavoro, la pos­si­bi­lità di entrare a far parte inte­grante della società locale. Scrive uno dei por­ta­voce, Asu­quo Udo, in una let­tera aperta ai cit­ta­dini di Amburgo: «Vogliamo diven­tare parte della società di Amburgo, non pos­siamo e non vogliamo tor­nare alla mise­ria, né in Ita­lia, né nei paesi afri­cani». Molti dei rifu­giati dell’Emergenza prima di lasciare la Libia lavo­ra­vano come ope­rai edili, car­pen­tieri, mec­ca­nici, gior­na­li­sti, esperti infor­ma­tici. Sono qui per vivere, lavo­rare, inse­rirsi nella società.
Ralf Lou­renco, atti­vi­sta del movi­mento Kara­wane (http://?the?ca?ra?van?.org/), nella sede di St. Pauli spiega: «Quando i rifu­giati si sono rivolti a noi erano già orga­niz­zati e ave­vano quat­tro por­ta­voce. (…) Li abbiamo aiu­tati a ren­dere pub­bli­che le loro riven­di­ca­zioni, orga­niz­zando dimo­stra­zioni, incon­tri pub­blici e con la stampa, aiu­tan­doli nelle tra­du­zioni in tede­sco. Ma i con­te­nuti erano già chiari in par­tenza». A dif­fe­renza di altre realtà che si occu­pano di diritti di rifu­giati e migranti, il gruppo di Kara­wane inco­rag­gia e sostiene forme di self-empowerment ed auto-organizzazione dei migranti e rifu­giati. Per­ché non sono «vit­time da aiu­tare», ma sog­getti auto­nomi, pen­santi, in grado di auto-rappresentarsi, for­mu­lare e recla­mare i pro­pri diritti. Il sup­porto di Kara­wane si tra­duce spesso in forme di soste­gno pra­ti­che, ma non ci sono inter­me­diari. Sono i rifu­giati che vanno agli incon­tri con le auto­rità, la stampa, i sin­da­cati, gli stu­denti, i movi­menti di cit­ta­dini. Que­sto è uno dei punti di forza di Lam­pe­dusa ad Amburgo, che è innan­zi­tutto un movi­mento dei migranti, rispetto ad altre realtà spesso «per i migranti».
Un esem­pio: il primo mag­gio 2013 il gruppo di Kara­wane e una cin­quan­tina di afri­cani di quella che ormai è la «Lam­pe­dusa ad Amburgo» vanno tutti al Kir­chen­tag, il con­ve­gno inter­na­zio­nale delle chiese pro­te­stanti. Tre­mila tra fedeli, rap­pre­sen­tanti della comu­nità pro­te­stante, intel­let­tuali, poli­tici. Si discute anche di diritti degli immi­grati e di acco­glienza. I rifu­giati repli­cano: «Wir sind her!» («Siamo qui!). Un’azione che ottiene un risul­tato: il vescovo pro­te­stante della città, Kir­sten Ferhs, deve rico­no­sce che serve fare qual­cosa. In seguito, la chiesa di St. Pauli apre le porte a più di 80 rifu­giati e altri luo­ghi di culto seguono l’iniziativa: dalla moschea a St Georg alla chiesa Erlö­ser­kir­che. A que­sta forma di acco­glienza se ne aggiun­gono altre, presso asso­cia­zioni e pri­vati, soprat­tutto e non a caso nel quar­tiere di St. Pauli.
La riven­di­ca­zioni poli­ti­che di «Lam­pe­dusa ad Amburgo» fanno anche appello al §23 della legge di sog­giorno tede­sca, in cui lo stato fede­rale decide, in accordo con il mini­stero degli Interni. Il para­grafo age­vola istanze di resi­denza nel caso spe­ci­fico di gruppi omo­ge­nei e nume­rosi, come nel caso di Lam­pe­dusa ad Amburgo. Il Senato fede­rale di Amburgo replica con la pro­po­sta di accet­tare la pra­tica, che in tede­sco si chiama Dul­dung, per cui la domanda di asilo viene fatta su base esclu­si­va­mente indi­vi­duale. Ciò com­por­te­rebbe per i rifu­giati la per­dita di tutto l’iter pre­ce­dente, incluso il rico­no­sci­mento di asilo già avve­nuto in Ita­lia, dopo attese lun­ghis­sime. Il rifiuto della domanda di asilo, inol­tre, avvie­rebbe auto­ma­ti­ca­mente pro­ce­dure di deten­zione nei cen­tri di espul­sione della Ger­ma­nia e depor­ta­zione. In sostanza, nes­sun rico­no­sci­mento col­let­tivo al gruppo, ma solo una scelta su base indi­vi­duale. Più che una solu­zione, i por­ta­voce di «Lam­pe­dusa ad Amburgo» la inter­pre­tano come un nuovo ten­ta­tivo di divi­dere il gruppo, diluirne le riven­di­ca­zioni col­let­tive, l’organizzazione e com­pat­tezza. La pro­po­sta del Senato è con­si­de­rata inac­cet­ta­bile dalla mag­gio­ranza del gruppo, che ha repli­cato con una let­tera aperta (http://?www?.the?voi?ce?fo?rum?.org/?n?o?d?e?/?3?396).
Su que­sto punto si sono create alcune dif­fi­coltà tra le molte e diverse realtà impe­gnate nella difesa dei diritti di «Lam­pe­dusa ad Amburgo». Secondo Ralf, «la chiesa si pre­oc­cupa prin­ci­pal­mente dell’aspetto uma­ni­ta­rio della que­stione, con­cen­tran­dosi sui casi indi­vi­duali. Per la chiesa la solu­zione di gruppo non è pos­si­bile. La chiesa di St. Pauli vuol essere de-politicizzata, e que­sto influi­sce nega­ti­va­mente sul gruppo, che ha avuto alcune espe­rienze nega­tive con rap­pre­sen­tati della comu­nità della Chiesa coin­volti in nego­ziati poli­tici senza il soste­gno col­le­giale della Lam­pe­dusa».
La chiesa è un fat­tore impor­tante nel mobi­li­tare la comu­nità pro­te­stante, ma indub­bia­mente le rela­zioni si com­pli­cano quando dalla que­stione pre­va­len­te­mente uma­ni­ta­ria e legata al sin­golo si passa a dover pren­dere posi­zioni poli­ti­che, che com­por­tano ine­vi­ta­bil­mente una cri­tica dei poteri costi­tuiti e delle norme vigenti. Qui il ruolo della Chiesa è inde­bo­lito anche dalle pres­sioni fatte dalle auto­rità locali. All’incontro set­ti­ma­nale degli atti­vi­sti nella chiesa di St Pauli, Phi­lippe sostiene si tratta anche una que­stione prag­ma­tica: «Una cosa è inter­ve­nire quando la situa­zione fa vedere che certe poli­ti­che non fun­zio­nano, un’altra pre­ten­dere di voler cam­biare radi­cal­mente le poli­ti­che di asilo e immi­gra­zione». Per Phi­lippe «l’atto uma­ni­ta­rio è anch’esso un atto poli­tico», ma rico­no­sce che esi­stono vin­coli e limiti det­tati dal ruolo e dalla natura stessa dei rap­porti della Chiesa con le isti­tu­zioni, si pensi all’aspetto economico.Tuttavia,seduti tra gli atti­vi­sti è dif­fi­cile non notare che nes­sun por­ta­voce di «Lam­pe­dusa ad Amburgo» è tra noi durante la riu­nione. Alcuni ascol­tano seduti in disparte, altri dalla navata supe­riore, ma nes­suno tra­duce e pochi di loro par­lano già il tede­sco.
Al di là dei pro­blemi, il dif­fuso soste­gno della comu­nità ai rifu­giati e il con­ti­nuo mol­ti­pli­carsi ed espri­mersi di ini­zia­tive di soli­da­rietà riman­gono i fat­tori posi­tivi. «Una soli­da­rietà così forte non ce l’aspettavamo» affer­mano a Kara­wane, e que­sta è tra le ragioni dei risul­tati fino ad ora otte­nuti, anche rispetto ad altri movi­menti. A que­sto hanno anche con­tri­buito la popo­lare squa­dra di cal­cio del St. Pauli, il cen­tro sociale Rote Flora sgom­be­rato con la forza dalla poli­zia nei giorni scorsi, gli stu­denti delle scuole locali e dell’Università, il tea­tro, sin­da­cati come Ver.di e IG Metall. Cam­mi­nando per St Pauli, ovun­que ci sono mani­fe­sti col motto «We are here to stay», graf­fiti, ban­ners alle fine­stre, scritte ai muri e mar­cia­piedi, depliants nei bar e nei negozi di quar­tiere. Gli afri­cani ad Amburgo sono i primi a rico­no­scerlo, ricambiando.Perché «Wir sind mehr/ Siamo di più». Una soli­da­rietà che la «zona ad alto peri­colo» (gefah­ren­ge­biet) dichia­rata dalla poli­zia a St. Pauli e in aree adia­centi a seguito della mani­fe­sta­zione del 21 dicem­bre con­tro la chiu­sura del cen­tro sociale Rote Flora non pos­sono cir­co­scri­vere.
Que­ste anche le ragioni di spe­ranza. «Rima­niamo fidu­ciosi», afferma Ralf, «e con­ti­nue­remo a lot­tare per otte­nere una solu­zione che rico­no­sca i diritti del gruppo di Lam­pe­dusa». Per­ché la lotta a fianco di «Lam­pe­dusa ad Amburgo» è in realtà un modo per discu­tere e riflet­tere più in gene­rale sulle attuali que­stioni in mate­ria di asilo, immi­gra­zione ed acco­glienza, a livello nazio­nale ed euro­peo. «Lam­pe­dusa ad Amburgo» è un esem­pio in grado di influen­zarne posi­ti­va­mente altri, di mol­ti­pli­carsi. Molti stanno guar­dando a quello che sta suc­ce­dendo qui ad Amburgo, per­ché qui c’è stata e con­ti­nua ad esserci una rispo­sta con­creta da parte della comu­nità alle vuote pro­messe fatte dai poli­tici sull’isola di Lampedusa.

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