La voglia d’inciucio dei proporzionalisti

by Sergio Segio | 17 Gennaio 2014 8:28

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La parte del Pd che ha governato per due anni e fino all’altro giorno con Berlusconi si scandalizza se il nuovo segretario Matteo Renzi vuole discutere con il capo della destra la legge elettorale. All’improvviso i bersaniani, i dalemiani e altri correntisti del Pd hanno scoperto dopo vent’anni che Berlusconi è inaffidabile, ha un sacco di problemi con la giustizia, processi in corso, condanne, e insomma non è una persona con cui trattare. Cristianamente, si dovrebbe festeggiare questo ritorno a casa dei figlioli prodighi uccidendo il vitello grasso. È dai tempi della Bicamerale che scriviamo questo su Repubblica, spesso accusati dai vertici del centrosinistra di antiberlusconismo viscerale, estremismo ideologico e impolitico. Ora si sono convinti: evviva. Ma sui pentiti della sinistra è lecito avere qualche sospetto.
È del tutto legittimo che Renzi voglia discutere le riforme istituzionali e la legge elettorale con la destra. A patto naturalmente che lo faccia alla luce del sole. In questo il segretario del Pd deve dimostrare di essere davvero un uomo nuovo della politica. Diverso dalla destra, che ha fatto approvare una legge elettorale, per giunta una porcata incostituzionale, a colpi di maggioranza e contro l’opposizione. Diverso da Berlusconi stesso, che ha sempre usato i tavoli del dialogo con la sinistra per ottenere sottobanco favori personali e aziendali. Diverso anche dai vecchi dirigenti della sinistra, che quei favori li hanno concordati, come ha ammesso Luciano Violante in parlamento, a costo di deformare la democrazia italiana. Ma fin qui siamo nel campo dell’ovvio. Più complicato è capire che cosa spinga la nomenklatura del Pd, e non solo, a opporsi al dialogo su una legge elettorale maggioritaria. Perché di questo si tratta e non di una poco credibile obiezione etica alla trattativa con l’ex alleato Berlusconi.
Diciamo la verità, monta una gran voglia di proporzionale nel ceto politico vecchio e nuovo, insieme all’idea di archiviare la seconda repubblica con un ritorno all’antico, alla prima. Si tratta di un interesse trasversale, che riguarda molte botteghe e aziende politiche rappresentate in Parlamento. Il proporzionale piace alla vecchia nomenklatura del Pd, che preferisce governare con la destra piuttosto che farsi rottamare da un possibile governo Renzi. Il proporzionale piace moltissimo agli ormai minuscoli centri di Monti e Casini e al partitino di Alfano, che possono giocare al ruolo di Ghino di Tacco e chiedere pedaggio a qualsiasi futura maggioranza. Non dispiace perfino a Berlusconi, che oggi tratta con Renzi, ma domani potrebbe tornare in un governo di larghe intese, dipende naturalmente da chi gli offre che cosa. Il sistema proporzionale entusiasma poi i nuovi entrati del Movimento 5 Stelle, i quali hanno appena scoperto quant’è bello ballare sul Transatlantico mentre l’Italia va in rovina e non vogliono per nessuna ragione rinunciare ai vantaggi di un’opposizione di sua maestà ai futuri governissimi. Una legge elettorale proporzionale in definitiva accontenta tutti i gruppi che contano in Parlamento, o quasi. Svantaggia soltanto sessanta milioni d’italiani, stremati da governi di larghe intese e piccoli orizzonti, che vorrebbero uscire dall’eterna emergenza. Se si facesse un referendum su proporzionale o maggioritario, vincerebbe il secondo con un plebiscito, oggi come allora. Ma siccome l’opinione degli italiani seguita a non contare nulla nei giochi dei partiti, vecchi e nuovi, è molto probabile che alla fine si arrivi a una legge proporzionale.
Non sarà eccessivo almeno chiedere un atto di onestà ai tifosi del proporzionale. La verità, per favore. Il problema non è se Renzi tratta con Berlusconi, come hanno fatto tutti e su tutto prima di lui. Il problema è non fare la legge elettorale, punto e a capo, e usare la sentenza della Corte Costituzionale per tornare al proporzionale puro e ai fasti della prima repubblica. È questo il nuovo, vero e grande inciucio. Nella perenne emergenza i cittadini vivono malissimo, ma il ceto politico, da Alfano a Casaleggio, compreso il vecchio Pd, se la passa assai bene. E dunque, che ragione c’è di cambiare?

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