La trincea della minoranza dem “Pronti i nostri emendamenti se il testo non cambia davvero”
ROMA — «Questo testo, se non viene modificato profondamente, presenta dubbi di costituzionalità ». Gianni Cuperlo morde il freno. Lo fa da lunedì sera, quando nella riunione in cui Renzi ha posto l’aut aut, il leader della minoranza democratica ha preso la parola per dire che «se il segretario chiede la fiducia, bisogna dargliela ». Ma ha anche aggiunto che il Pd di Renzi sta subendo una mutazione genetica, non lo riconosce più come il suo partito. E poco prima di entrare in commissione Affari costituzionali per ritirare materialmente gli emendamenti, Cuperlo si è sfogato con il renziano Dario Nardella: «Siete degli irresponsabili, usate metodi squadristi…». L’accusa di autoritarismo e di scarso rispetto per l’opposizione interna si trascinada quella battuta “Fassina chi?” del segretario, che portò alle dimissioni da vice ministro di Stefano Fassina. Scontro riacceso il giorno del dibattito in direzione proprio sulle preferenze nella nuova legge elettorale, che provocò le dimissioni di Cuperlo da presidente del Pd, dopo un’altra battuta di Renzi.
Il segretario prova a rabbonire, lodando il senso di responsabilità della sinistra dem per la prova di forza evitata sugli emendamenti. Ma cambia poco. Il “correntino” si prepara alla guerra dei nervi. O l’Italicum è trasformato oppure in aula – ripetono i cuperliani -sarà il momento della verità. E potrebbero esserci modifiche, ad esempio per le preferenze, che hanno un consenso trasversale e saldano un asse con gli alfaniani e i centristi. «Il dissenso politico resta – afferma Rosy Bindi – ci siamo riservati di ripresentare in aula gli emendamenti contro le liste bloccate, sulle soglie più basseper i piccoli partiti, sull’alternanza di genere». Una cosa infatti è evitare ora possibili appigli strumentali a Berlusconi per fare saltare tutto – ragiona la presidente della commissione Antimafia altra sono le obiezioni di merito: «Queste restano in piedi. E poi chi dice prendere o lasciare, non fa sul serio. Non vogliamo fare naufragare la riforma, sia chiaro».
L’accordo sulla soglia più alta dal 35 al 38 o 37% per avere il premio di maggioranza – è al centro della trattativa, tuttavia non basta per la minoranza che è pronta a dare battaglia. Si materializza lo spettro dei “franchi tiratori”. Tutti negano. Ma sono gli stessi che a Montecitorio mormorano: «Nonlo voteremo mai un testo blindato ». Alfredo D’Attore, bersaniano, invita Renzi a evitare gli ultimatum: «Non servono: nessuno di noi ha paura della minaccia del voto anticipato: il problema non è certo che qualche parlamentare non torni alla Camera. Piuttosto se si va a votare con il proporzionale consegnatoci dalla Consulta, finisce la vocazione maggioritaria del Pd e sarebbe un colpo letale anche alle ambizioni di governo di Renzi».
Il Pd che resiste ha varie anime. I “giovani turchi” sono cauti. Hanno siglato un patto con i renziani in Sicilia per la candidatura di Fausto Raciti contro Giuseppe Lupo, segretario regionale uscente, dato per favorito, di Areadem, la corrente di Franceschini: lotta in casa renziana, quindi. Ebbene i “turchi” escludono “giochetti”: «Bisogna trovare una soluzione per le liste bloccate, però si vota come dice il partito alla fine», assicura Matteo Orfini. Cesare Damiano, l’ex ministro del Lavoro, è per mantenere le obiezioni fino in fondo: «Se si tratta con Forza Italia, si tratta. Su tutto. Le preferenze sono una questione dirimente, non possono passare le liste bloccate e noi minoranza abbiamo offerte le alternative dei collegi uninominali, delle primarie per legge e per tutti ». Sul punto primarie, altra divaricazione: alcuni dem sono possibilisti sulle primarie per legge ma facoltative (decidono i partiti); altri le vogliono obbligatorie. Ironizza Sandra Zampa, vice presidente del Pd: «Siamo come willy il coyote, in bilico sul burrone, unariforma va fatta».
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FIORITO IN CARCERE
«In carcere non credo che troverò gente peggiore di quella che ho frequentato in regione e nel partito. Anzi». Parole (e musica!) di Franco Fiorito, ex capogruppo Pdl del Lazio accompagnato in carcere ieri mattina dalla Finanza. Bella frase: anche Pertini disse qualcosa del genere nel ’31, ma parlava di Gramsci (in galera) mentre fuori c’era Mussolini.